L'impennata dell'inflazione potrebbe «divorarsi» tra i 15 e i 20 miliardi di euro destinati dal Pnrr e dal Fondo complementare alle infrastrutture ferroviarie, idriche e delle telecomunicazioni (banda ultralarga e 5G). La «revisione» annunciata dal ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, non è un fulmine a ciel sereno e rappresenta un momento di chiarezza dopo qualche settimana di relativa confusione, soprattutto a Bruxelles. Questa indicazione del ministro con responsabilità ha sottolineato questa necessità.
Ma andiamo con ordine. Tenendo conto dell'allegato infrastrutturale al Pnrr (che contiene tra l'altro l'Alta velocità Napoli-Bari, Palermo-Catania, il potenziamento della Verona-Brennero e del Porto di Trieste), degli investimenti programmati sulle reti tlc e quelli per il potenziamento dei servizi (asili, cablaggio scuole, ecc.) e per la transizione green si arriva a un totale di oltre 100 miliardi di euro sui 221,5 miliardi sui quali l'Italia dovrebbe poter contare. È intervenuto, però, un fatto nuovo che si chiama inflazione alla produzione. «Le gare relative al Pnrr che stanno per essere bandite prevedono prezzi che non sono più attuali e il caro materiali rischia di renderle impossibili», osserva il presidente di Ance (associazione dei costruttori edili), Gabriele Buia, ricordando che «l'aumento medio dei prezzi delle opere oscilla tra il 15 e il 20% dei prezzi: sono percentuali importanti che devono essere alla base della rivisitazione». Ecco perché la mossa di Giovannini apre uno spiraglio sull'effettivo avvio dei cantieri che, al momento, rischiano di restare bloccati. «Mi auguro che si attui questa ridefinizione in modo tale da permettere alle imprese di poter presentare offerte e vedere aggiudicazioni che non siano indirizzate al massimo ribasso, ma alla qualità tecnica delle opere», aggiunge Buia. All'Ance, infatti, sta a cuore la strategic review dei progetti in quanto tali: definire le priorità e far partire gli investimenti. «Oggi le opere del Pnrr non sarebbero cantierabili perché non potrebbero essere aggiudicate e bene ha fatto il ministro a prendere atto della situazione che abbiamo denunciato già da tempo», conclude.
Dalle parole di Buia traspare anche la possibilità che si possa restringere il perimetro degli interventi del Pnrr purché quello che si può effettivamente realizzare lo si possa costruire a regola d'arte. C'è, però, chi non si è rassegnato a gettare la spugna prima che la Commissione europea ci colga in fallo. È il caso di due parlamentari dei Cinque stelle, Davide Zanichelli e Francesco Berti, che hanno chiesto al governo di farsi promotore a Bruxelles di una riparametrazione del Pnrr all'inflazione reale. Una proposta che aderisce al progetto di revisione del Patto di stabilità elaborato da Draghi e Macron e che prevedrebbe la messa in comune del debito pandemico e di quello per la transizione green.
Le alternative, di fatto, sono tre: perorare questa causa a Bruxelles, aumentare il deficit pubblico allo scopo di compensare i maggiori costi di costruzioni (la legge prevede che lo Stato rimborsi metà degli aumenti post-contrattuali dei costi degli appalti eccedenti la franchigia del 10%) oppure tagliare il 15-20% del
Pnrr. Ma tagliando si potrebbero toccare anche fondi come quelli destinati ai crediti d'imposta «Transizione 4.0» o quelli per il Superbonus del 110 per cento, posto che digitale e green sono i totem intoccabili del Piano.
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