A rischio chiusura il 28% delle aziende "riaperte"

La maggioranza degli esercenti denuncia un calo del fatturato tra il 50 e il 70 per cento

A rischio chiusura il 28% delle aziende "riaperte"

Per il 28% delle imprese che hanno riaperto, rimane elevato il rischio di chiudere definitivamente a causa delle difficili condizioni di mercato, dell'eccesso di tasse e burocrazia, della carenza di liquidità: è quanto emerge da un'indagine di Confcommercio, in collaborazione con Swg, svolta sulle prime due settimane di riapertura per le aziende dei settori ristorazione e bar, abbigliamento, altre attività del commercio al dettaglio e dei servizi. Delle quasi 800mila imprese del commercio e dei servizi di mercato che sono potute ripartire, a due settimane esatte dalla Fase2, l'82% ha riaperto l'attività, il 94% nell'abbigliamento e calzature, l'86% in altre attività del commercio e dei servizi e solo il 73% dei bar e ristoranti, a conferma delle gravi difficoltà delle imprese impegnate nei consumi fuori casa.

I dati dell'indagine, riporta un comunicato, riferiti ad un universo di 759mila imprese (prevalentemente micro-imprese fino a 9 addetti), evidenziano un segnale negativo: il 18% delle aziende che potevano riaprire non l'abbia ancora fatto, percentuale che sale al 27% nell'area bar e ristoranti. I motivi della mancata riapertura riguardano soprattutto l'adeguamento dei locali ai protocolli di sicurezza sanitaria.

Le note dolenti emergono dall'autovalutazione degli intervistati sul giro d'affari: già nella prima settimana la media dei giudizi si collocava largamente al di sotto della sufficienza. Nella settimana successiva questi timori si confermano: il 68% degli imprenditori dichiara che i ricavi delle prime due settimane sono inferiori alle aspettative, quando già le aspettative stesse erano piuttosto basse. La stima delle perdite di ricavo rispetto ai periodi «normali» per oltre il 60% del campione è superiore al 50%, con un'accentuazione dei giudizi negativi nell'area dei bar e della ristorazione, segmento dove si concentrano maggiormente perdite anche fino al 70%. Se nella prima settimana solo il 6% degli intervistati indicava un'elevata probabilità di chiusura dell'azienda, nella seconda ondata di interviste, a fronte di un ragionamento più articolato, il 28% degli intervistati afferma che, in assenza di un miglioramento delle attuali condizioni di business, valuterà la definitiva chiusura dell'azienda nei prossimi mesi.

A corroborare questa suggestione, dice Confcommercio, intervengono i timori che nel prossimo futuro si dovrà comunque richiedere un prestito (50% del campione), non si sarà in grado di pagare i fornitori (40%) né di sostenere le spese fisse (43%).

«Gli imprenditori hanno volontà di riaprire nonostante le difficoltà, ma c'è il rischio di una tempesta perfetta: da una parte i pesanti costi della Fase 2 e le poche entrate, dall'altra una crisi di liquidità che persiste e si aggrava e che

richiede che le misure previste dal dl Rilancio siano attuate al più presto», ha commentato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ribadendo che «serve meno burocrazia e una accelerazione delle iniziative anticrisi».

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