Non è affatto vero quanto afferma Giorgio Napolitano che una vittoria del «No» nel referendum sulla riforma istituzionale segnerebbe a fine di ogni speranza di cambiare una Costituzione che nella sua seconda parte non è adeguata alle esigenze del tempo presente. Il presidente emerito dimentica che un referendum sulla riforma costituzionale c'è già stato. E la vittoria del «No», a cui lui stesso ha contribuito in qualità di esponente di spicco dell'allora opposizione, non ha provocato alcuna scomparsa della speranza e della esigenza di rinnovare le istituzioni repubblicane. È vero, invece, che se dovesse vincere il «Sì», come Napolitano auspica visto che l'artefice principale della attuale riforma è stato proprio lui, il Paese verrebbe segnato da due conseguenze destinate a condizionarne pesantemente e drammaticamente il futuro.
La prima è quella di un rafforzamento dell'esecutivo senza alcuna forma di contrappeso democratico. L'ex presidente della Repubblica non può ignorare che trasformare l'esecutivo in una cittadella inespugnabile grazie al declassamento del Senato e ad una legge elettorale molto simile alla legge Acerbo (quella che consentì la nascita del regime fascista), può avere come facile conseguenza quella di favorire una pericolosa involuzione autoritaria destinata a sfociare nella formazione di un nuovo regime.
La seconda conseguenza è poi ancora più grave della prima. Perché la personalizzazione del referendum, fortemente voluta da Matteo Renzi e sottolineata dallo stesso Napolitano, non è un accidente transitorio destinato a finire nel dimenticatoio subito dopo l'esito della consultazione referendaria. La spaccatura verticale che esso determinerà nella società italiana peserà per un lungo e travagliato periodo nel futuro del paese. Nessuno si illuda che la vittoria del «Sì» o del «No» si limiti a segnare la vittoria o la sconfitta di un modello costituzionale. La decisione di Renzi di usare la campagna referendaria per gettare le basi per il superamento del Partito democratico e per la creazione del proprio partito personale funzionale al progetto della democrazia decidente, è destinata dividere come una mela l'opinione pubblica ed a provocare una lacerazione che, come quella tra fascismo ed antifascismo e quella tra democrazia e comunismo nel secondo Dopoguerra, potrà essere ricomposta solo dopo molti anni segnati da lotte infinite.
In passato Napolitano è stato uno stalinista convinto che le rivoluzioni sono come le pialle: per raddrizzare i legni storti sono costrette a fare i trucioli. In tarda età sembra essere tornato alle antiche convinzioni mettendo in conto che i trucioli della rivoluzione renziana saranno un prezzo congruo da pagare in cambio della democrazia decidente.
Ma quel prezzo, fatto di rischio
autoritario e di nuove tensioni fratricide, non sarà lui a pagarlo. Spetterà alle nuove generazioni. Che non meritano di ritrovarsi sul groppone oltre al debito pubblico ed alla crisi anche questa eredità neo-stalinista.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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