«Il problema non è il superbonus. Il problema sono i meccanismi di cessione del credito senza discrimine e senza discernimento». Lo ha detto a suo tempo Mario Draghi, lo ha ripetuto l'altro ieri Giancarlo Giorgetti, che ha parlato di «scelte scellerate» del passato.
Nel momento in cui Eurostat si appresta a stabilire in che casella contabile inserire il meccanismo di sostegno all'edilizia, con annessi rischi per la finanza pubblica, il superbonus era diventato un problema non più rinviabile.
Le cifre parlano di un ammontare complessivo di spese agevolate tra i 100 e i 110 miliardi, fino a 50 in più del previsto. E la decisione presa da alcuni enti locali di iniziare ad acquisire i crediti incagliati, per contribuire a risolvere le difficoltà delle aziende del settore, aggiungeva rischi ai rischi, con la possibilità di assistere a un florilegio di iniziative estemporanee e non coordinate, e anche in questo caso con un potenziale (anzi, reale) allarme per le casse dello Stato. Il decreto entrato in vigore ieri provvede a queste due esigenze: bloccato per il futuro il meccanismo della cessione, si impedisce agli enti locali di rilevare i crediti finiti in un vicolo cieco.
Come si dice di solito, però, è sbagliato rimediare a un errore con un altro errore. E, scontate le giuste intenzioni, l'errore è in agguato. Lo ha spiegato ieri con efficacia Regina De Albertis, presidente di Assimpredil Ance, associazione delle imprese edili di Milano, Lodi e Monza: «Se lo Stato ha sbagliato non si può far pagare il prezzo dell'errore a chi ci ha creduto».
Chi ci ha creduto sono, secondo l'imprenditrice, 25mila aziende del settore che hanno proceduto allo sconto in fattura e che adesso non riescono a monetizzare il frutto del loro lavoro rischiando l'infarto: hanno i cassetti fiscali strapieni e le cessioni dei loro crediti sono sempre più difficili. All'appello manca, secondo la De Albertis, liquidità per 15 miliardi di euro, che le aziende non riescono a recuperare.
È questo il problema che il governo si trova di fronte: avviare l'uscita dal meccanismo del 110% senza «strozzare» chi del meccanismo è rimasto prigioniero. Prigioniero, va detto, proprio perchè ha rispettato, forma e sostanza di una legge dello Stato.
Il terzo provvedimento contenuto nel decreto varato dal governo, quello in cui si delimitano le responsabilità del cessionario, rendendo più facile e meno rischioso assumere i crediti ceduti, va in questa direzione. Secondo gli operatori del settore, però, questo non basta. Si può fare di più e di meglio.
Sia Ance, l'associazione nazionale dei costruttori, sia l'Abi, l'associazione bancaria, hanno fatto delle proposte per rimettere in sesto la situazione finanziaria del settore. Non è solo questione di giustizia, è questione di convenienza: con le opere del Pnrr ai nastri di partenza, una bella fetta della crescita futura si gioca su questo terreno.
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