Un virus si aggira in Italia già da prima della pandemia: il «rischio zero». Certo, è anche il peso di un anno di morte e confinamento che ci impedisce di mettere a fuoco le buone notizie. Come lo studio dell'Università di Oxford secondo cui basta una sola dose del vaccino Pfizer o di AstraZeneca per ridurre il rischio di contagio di due terzi. Eppure, i segnali confortanti si vanno sommando in modo confortante. L'Ecdc, il Centro europeo per il controllo delle malattie, ha fatto sapere che i vaccinati, in presenza di altri immunizzati, possono gettare via la mascherina e perfino recuperare la prima delle libertà perse: l'ebbrezza di avvicinarsi, toccarsi, abbracciarsi. E gli esperti inglesi dicono che il Regno Unito non è più immerso in una pandemia. Il riscontro empirico è nei numeri delle vittime: ieri meno di venti, un anno fa nello stesso giorno più di 800. Vite salvate grazie a una scelta politica, un ragionamento solo in parte confortato dalla scienza: accelerare sulla prima dose allungando i tempi della seconda. Una linea di condotta, quella britannica, che all'inizio aveva provocato aspre critiche, spesso strumentali, contro l'odiato Boris Johnson, l'uomo della Brexit. Ma non solo: la verità è che, soprattutto in Italia, più forte dell'appartenenza politica è l'adesione acritica alla linea del «rischio zero». Una deformità del pensiero che si insinua vestendosi di razionalità, si nutre di citazioni scelte da studi scientifici dalle tinte catastrofiche, senza però la capacità di comprendere come funzioni davvero il calcolo del rischio. I modelli matematici servono a comprendere i meccanismi dell'epidemia, sono utili ad accompagnare le scelte politiche ma ma dipingono scenari possibili, non prevedono il futuro. Per un anno siamo stati ostaggio della pandemia, ma anche di quella larga fetta di opinione pubblica che quando sente dire che solo un contagio su mille avviene all'aperto, invece di correre al parco si imbroncia meditando su quanto è pericoloso quell'infetto su mille. Un approccio alla vita che esisteva anche prima e trovava la sua tipica espressione in quel disastro socioeconomico che è il «principio di precauzione», per cui assumo che una cosa faccia male fino a prova contraria. Un atteggiamento esistenziale che, se nel corso della storia umana avesse preso il sopravvento, vivremmo ancora nelle caverne, incapaci di sperimentare qualunque minacciosa novità, a partire dalla scoperta del fuoco. Ecco perché il «rischio ragionato» di Mario Draghi ha provocato un'ondata nervosa in tutto il Paese. Di piacere, in chi finalmente vede che al comando c'è qualcuno in grado di prendersi responsabilità. Di paura, nei «rischio-zero». Non a caso, nel giorno del discorso del premier, sui social l'hashtag di tendenza è ha deformato la frase di Draghi in «#rischiocalcolato».
Cioè non l'approccio politico che ragiona ponderando rischi e opportunità, ma quello di chi si illude di poter calcolare il futuro. Il caso inglese dimostra però che questo approccio non è innocuo: il «rischio zero» europeo ha mietuto migliaia di vittime in più del «rischio ragionato» inglese. Il rischio zero è un estremismo che uccide.
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