Signori si stringe. È questione di ore. Oggi è il giorno del nuovo Dpcm che regolerà la nostra vita per i prossimi mesi, forse per le prossime settimane, forse per i prossimi giorni. Diciamo fino al nuovo Dpcm, fino alla prossima stretta. Intanto, oggi il premier Giuseppe Conte dovrebbe collegarsi in diretta con l'Italia per spiegarci con la sua flemmatica verbosità quello che ci aspetta.
La verità è che mentre scriviamo nemmeno lui sa che cosa ci dirà domani. Ieri sera vertici febbrili. Tutti a incontrare tutti. Il governo con il Cts, il governo con le Regioni, poi i governatori da soli. Tutto per trovare un compromesso tra rigoristi e aperturisti. Proviamo a delineare i possibili scenari, ben consapevoli del fatto che lo stesso Conte ieri ha provato a stoppare ogni spoiler: «Le uniche misure di restrizione veritiere saranno quelle contenute nel Dpcm che verrà emanato non appena definito il quadro di intervento - dice -. Le anticipazioni che si stanno rincorrendo in questi giorni e in queste ore sui mezzi di informazione sono da ritenersi fughe in avanti e ipotesi non corrispondenti a verità». I soliti giornalisti discoli. Ma noi facciamo ordine lo stesso.
I temi caldi, quelli che dividono di più, sono la scuola, i trasporti, la movida e il coprifuoco, parola questa che spaventa perché richiama scenari di guerra. E si sa, le parole sono importanti. Per questo il governo non ama questa terminologia lugubre e ferrigna. Ma tant'è. Che cos'è se non un coprifuoco non poter circolare per strada dalle 22 (o dalle 23) fino alle 6 di mattina? Questa è infatti una delle principali misure allo studio, che si allinea alla chiusura anticipata di bar e ristoranti. Su questo argomento i governatori spingono per una misura meno draconiana: le 23 invece che le 22. Un'ora in più considerata fatidica per garantire un po' di respiro a un settore molto importante per il made in Italy. Il coprifuoco non vuol dire però soltanto locali chiusi. Vuol dire anche persone che non possono circolare liberamente nelle ore off se non per motivi urgenti o gravi. Emerge la contraddizione tra la rassicurazione del governo che non torneranno in vigore le famigerate autocertificazioni di marzo e aprile e la necessità di prevedere comunque dei controlli e delle sanzioni per far funzionare il meccanismo. Altrimenti è tana libera tutti. Probabile che all'inizio si punti soprattutto sulla moral suasion e quindi sulle raccomandazioni, puntando poi pan piano su un restringimento dello spiraglio.
L'idea più volte confermata da Palazzo Chigi è concentrare le misure sulle attività considerate meno essenziali (definizione questa su cui ovviamente ognuno ha le sue idee personali): si va verso una stretta sugli sport, con la possibile chiusura delle palestre e delle piscine (locali nei quali per la verità le regole sono fatte rispettare con un certo rigore) e delle attività dilettantistica di contatto. Non dovrebbero esserci conseguenze invece, almeno per il momento, per lo sport agonistico che segue già protocolli molto rigidi. Insomma, se non sei Cristiano Ronaldo e vuoi restare in forma puoi ricorrere soltanto al running oppure al workout casalingo. Non dovrebbero invece essere interessati dalle misure alle viste centri estetici e parrucchieri. Peggio per chi è pelato come chi scrive.
Per quanto riguarda la scuola, è ovviamente considerata attività importantissima, che interessa milioni di famiglie in tutto il Paese. Per questo si sta lavorando per cercare di salvaguardare le lezioni in presenza, magari con un mix di fisico e di virtuale. Tra le misure possibili, riguardanti soprattutto le scuole superiori, lo slittamento del suono della campanella alle 11 per assicurarsi che gli spostamenti degli studenti avvengano in orari meno di punta e alleggeriscano quindi il carico dei mezzi di trasporto pubblici, considerati tra i punti deboli dell'intera struttura.
Poi c'è il capitolo lavoro: il governo punta a elevare la soglia di smart working al 75 per cento. Insomma, tre italiani su quattro potrebbero essere volenti o nolenti (ma meglio volenti) spinti a lavorare da casa.
Altro tema caldo dare una raddrizzata a Immuni, la app che avrebbe dovuto garantire il tracciamento di tutti i positivi. Non ha mai funzionato granché, anche a causa del fatto che l'hanno scaricata meno italiani di quanto il governo e gli sviluppatori sperassero.
Ieri anche il leader dimezzato del Movimento 5 stelle Vito Crimi ha spinto sul tema: «Occorre potenziane l'utilità, rendendola obbligatoria per l'accesso a determinati luoghi o servizi e verificando che tutto il sistema sanitario sia in grado di sfruttarne le potenzialità». Forse - speriamo - arriverà prima il vaccino.
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