Guardati in prospettiva storica, i funerali di Silvio Berlusconi sono stati al tempo stesso il rito di unità di un popolo e la sigla simbolica della fine di un sistema politico. Li possiamo quindi confrontare, per analogia, con due esequie altrettanto importanti e rilevanti nella storia dell'Italia repubblicana. Quelle di Aldo Moro nel 1978 e quelle di Enrico Berlinguer nel 1984. Partiamo da queste ultime. Mentre l'estremo saluto a Togliatti era stato, nel 1964, quello dei militanti comunisti, il funerale di Berlinguer portò in piazza un popolo non costituito solo dai pur consistenti undicimila milioni e settecentomila elettori che, pochi giorni dopo, apposero la croce sulle schede comuniste per Bruxelles. Era un popolo più largo, certo di militanti e di simpatizzanti, ma anche fatto da persone che non avevano mai votato per il Pci e che magari lo combattevano, ma che riconobbero l'importate funzione nazionale del defunto segretario comunista. Molti di destra anche radicale parteciparono a quelle esequie, partendo dal segretario del Msi, Almirante. Come tali, esse furono un rito di unità nazionale. Allo stesso modo, i funerali di Berlusconi hanno visto riunito un popolo, quello dei moderati, a cominciare dai suoi simpatizzanti ed elettori. E si noti che è la prima volta che le esequie di un leader liberale e moderato vedono una tale partecipazione corale, oltre le appartenenze politiche. Nel caso di Berlusconi, certo, facilitato dal fatto che egli non fu solo un leader politico: tra i quanti erano lì con lo striscione del Milan, non è detto che l'abbiano tutti votato. In ogni caso, in piazza Duomo, più che nella cattedrale stessa, si è visto un «popolo delle libertà», un blocco sociale per dirla gramscianamente. Continuando nella analogia, così come i funerali di Berlinguer siglarono l'inizio del declino del Pci, tocca notare che il blocco sociale berlusconiano è nel frattempo molto cambiato rispetto ai tempi della discesa in campo. L'altro confronto è con i funerali di Moro. Che siglarono, come sanno gli storici, l'inizio della fine della Prima repubblica. Così come quelli di Berlusconi segnano simbolicamente il chiudersi della Seconda Repubblica, già cominciata a declinare da tempo. Essa infatti era nata attorno a Berlusconi da un lato e in contrapposizione a lui dall'altro: e tale centralità del Cavaliere è stata fondamentale anche negli ultimi anni, visto che senza di lui non ci sarebbe stato il governo Draghi e, per la verità, neppure quello Meloni. Venuto meno l'asse portante della Seconda Repubblica, toccherà tanto al centro-destra, ora diventato destra-centro, ridefinirsi, ma spetterà anche alla sinistra. E non sarà facile lasciare da un canto atteggiamenti e condotte che erano ormai diventate una seconda natura.
Si potrebbe cominciare, ad esempio, da una seria riforma istituzionale che operi una cesura reale, e che sia redatta il più possibile con il concorso di tutti, e non a colpi di maggioranza: magari ripartendo proprio da quel «presidenzialismo» che Berlusconi, assieme alla sinistra, era arrivato a un passo dall'approvare alla fine degli anni Novanta.
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