Tutto come previsto. Nessuna sorpresa positiva. Nessuna indulgenza. Dal 2024 l'Unione europea tornerà a pretendere il rispetto degli impegni di bilancio da parte di ciascun Paese aderente. La situazione dei conti pubblici sarà valutata in riferimento al 2023, ma i governi devono accrescere la loro consapevolezza. Nulla, tuttavia, è scritto sulla pietra e il ventaglio delle possibilità è tutt'altro che ristretto per tre motivi. In primo luogo, la discussione sulla riforma del Patto di Stabilità sta per entrare nel vivo. In seconda istanza, ai Paesi Ue si richiede una politica di bilancio che «dovrà restare agile in futuro». Ultimo ma non meno importante, la flessibilizzazione del regime degli aiuti di Stato inevitabilmente comporterà un aumento delle spese, almeno per chi come la Germania può permettersele.
«In questo momento è vitale mantenere un'ancora di stabilità macroeconomica e finanziaria. Ciò significa garantire finanze pubbliche solide in tutti gli Stati membri dell'Ue», ha detto ieri il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, puntando all'Italia e aggiungendo che nell'Ecofin di martedì prossimo «ci aspettiamo che i ministri delle Finanze siano in grado di convergere sugli elementi chiave del nuovo quadro di governance economica». Il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, come suo solito ha voluto essere rassicurante. Per l'Italia è «un'ottima soluzione» perché le nuove regole rappresentano un «compromesso molto avanzato: c'è una maggiore gradualità nella riduzione del debito» e «c'è un incentivo agli investimenti, che produce ancora maggiore gradualità nella riduzione del debito». Effettivamente bisognerà vedere se l'aggiustamento dell'eccesso di debito sarà flessibile oppure se si imporrà la correzione indipendentemente dal ciclo macroeconomico. Analogamente preoccupante è la valutazione della sostenibilità che rischia di diventare uno stigma sui mercati «pagato» a colpi di spread. L'Italia ha chiuso il 2022 con il deficit/Pil all'8%, non il migliore dei punti di partenza in vista di una nuova stagione di rigore sui conti.
Un ritorno alle logiche dell'«austerità» non è nel novero delle possibilità e «messaggi simili non avrebbero alcun senso», ha sottolineato Gentiloni precisando che occorre «trovare un equilibrio tra il mantenimento della crescita e la riduzione del deficit». Non c'è via di sostanziale riduzione del debito e del deficit, ha proseguito, «se le nostre economie non si sviluppano» attraverso gli investimenti del Pnrr per la transizione ecologica e industriale. L'Italia ha dimostrato di saper correre, dopo la crisi Covid. E correndo si riducono anche il debito e il deficit, sebbene la Germania abbia spesso criticato questa tesi. Resta un dubbio: che ogni Paese legga in queste proposte di riforma quello che vuole leggervi. I Paesi ad alto debito coltivano la speranza che gli investimenti pubblici che non siano spesa corrente improduttiva saranno tollerati. I Paesi «frugali» hanno la certezza che la supervisione riformata non si risolverà in una trattativa bilaterale tra Bruxelles e le singole capitali in cui prevale la discrezionalità sulle regole.
In ogni caso, Giorgia Meloni sembra aver trovato un alleato insospettabile: il premier olandese Mark Rutte, capo dei falchi. «Non sono preoccupato» dal debito italiano, ha detto ieri aggiungendo di essere «colpito da quello che l'Italia sta facendo nell'attuare le riforme e passo dopo passo le sta attuando».
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