Reduci e sopravvissuti della Costa Smeralda si aggirano tra i canneti di ogni dove, quasi mimetizzandosi, nascondendosi ai più che li evitano, se la svignano al semplice apparire della loro ombra, inseriscono il pilota automatico e svoltano al primo incrocio. I porti restano aperti, per decreto governativo ma Porto Cervo e Porto Rotondo mettono ansia, sfornano profughi e fuggiaschi dai volti ambrati ma con la nuvola di un contagio che li sta trasformando dei moderni untori di Manzoniana memoria.
C'è il pericolo di essere toccati, addirittura sfiorati, non basta la mascherina, nemmeno il gel igienizzante, si evita anche il gomito su gomito, una smorfia abbozzata tipo sorriso di riverenza ma con un senso di disagio forte, intimo ma alla fine manifesto. Nessun abbraccio «allora come è andata? Raccontami», niente di tutto questo, fotografie dal set sardo mostrano facce piene di vita, allegre persone, non sanno, non immaginano, non possono prevedere che al loro sbarco sul continente verranno accolti non dai monatti, sarebbe allora un fatto grave, ma da una popolazione di ex amici e conoscenti che più che al distanziamento sociale preferiscono stare alla larga da quella ciurma pericolosa. La transumanza verso siti e lidi di alto lignaggio offre uno scenario senza contorni definiti, può essere la spiaggia della Versilia o della riviera ligure, la piazzetta di Capri o la stessa metropoli milanese, scomparsi i raduni e le rimpatriate, niente spaghettata a mezzanotte, i senzaCalà o i senzaSmaila tengono le luci basse, «a chi la tocca la tocca» diceva Tonio nei Promessi Sposi, era il segnale dello sfinimento e Renzo filava via, avendo intuito il rischio. Si appalesa anche il piacere delle disgrazie altrui, dicesi schadenfreude per darsi un tono, un senso satanico di mangiare caviale dinanzi a corpi affamati, da Portofino a Santa, proseguendo verso il Forte e poi Capalbio e Ansedonia, Ponza, Capri fino allo Stretto, in attesa del ponte, sopra o sotto, è un mormorio continuo, un brusio di voci impaurite da quello che i giornali scrivono e le tivvù e radio comunicano, la Sardegna brucia, stavolta non c'entrano gli incendi e i piromani, è la febbre del virus, è il tampone, è la paura che fa 90 ed è più contagiosa del Covid che fa 19.
Non ci sono controindicazioni, negazionismo è il termine di gran moda, sarebbero i cuntaball di una volta, storie di paese trasformate in opinioni ufficiali, definitive anche se non meglio definite. L'orizzonte è fosco, non sappiamo se l'autunno sarà caldo, come nei peggiori anni sindacali, ma sappiamo che quelli lì, quelli che sbarcano, provenendo da Olbia, vanno trattati con i guanti ma mica bianchi e di filo di cotone ma in lattice o nitrile, neri o azzurri, questi introvabili nei mercati, isole comprese ovviamente. Del doman c'è incertezza, siamo costretti a correggere anche il Magnifico Lorenzo, non sappiamo quello che potrebbe capitare e capitarci, l'asintomatico vive e regna tra di noi, allora meglio la prudenza che, però, è diventata circospezione.
L'acronimo Vip è rivisto e corretto in Virus Important Producer, il telepass della fama non passa il casello, uno vale niente, caro Rousseau, questo flagello ha cancellato i 7 e 40.
Meglio non rivelare da dove si arrivi: Sardegna? Ma quando mai! Come nei tradimenti, negare sempre, cercare una via di fuga,un alibi facile: e allora tutti reduci da vacanze in convento, settimana di raccolta di more e mirtilli, pesca alla trota. Come sempre, qualcuno abbocca.
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