La "rivincita" del vino. Un calice ai pasti fa bene e zittisce anche l'Irlanda

Un maxi studio dimostra che un consumo moderato a tavola non crea danni alla salute

La "rivincita" del vino. Un calice ai pasti fa bene e zittisce anche l'Irlanda

Il vino non è una bevanda alcolica come altre. E non solo per il suo indubbio valore culturale, tradizionale, sociale, oltre che per l'impareggiabile capacità di accompagnare i pasti che gli altri drink, al netto di pairing acrobatici che sempre più spesso vengono proposti nei ristoranti fine dining, certo non possiedono.

Il vino non è uguale alle altre bevande alcoliche anche da un punto di vista salutistico, ciò che rende ridicole certe prese di posizione da parte di alcuni stati europei dell'Ue di rito non enologico, come l'Irlanda, che hanno di recente introdotto, con il silenzio assenso di Bruxelles, «alert» sanitari sulle etichette di Sangiovese e Sauvignon. Il vino infatti è «un'alchimia di proprietà uniche, un magico e irriproducibile mix di polifenoli e antiossidanti che lo rende utile, naturalmente quando il consumo va da basso a moderato, nel controllo delle malattie cardiovascolati, del diabete di tipo 2 e dei distrubi neurologici».

Lo dice la review «Moderate wine consumption and health: a narrative review» pubblicata sulla rivista internazionale Nutrients, il più recente lavoro scientifico sullo stato dell'arte a proposito delle conseguenze sulla salute di un consumo moderato del nettare di Bacco, che evidenzia le differenze tra questo e le altre bevande alcoliche nella modulazione delle vie biochimiche e nell'espressione genica dei componenti bioattivi. Insomma un bicchiere di vino a pasto «non solo non aumenta il rischio di malattie cronico-degenerative», ma è anche «associato a possibili benefici per la salute, soprattutto se inserito in un modello di dieta mediterranea». L'Italia da questo punto di vista può essere il capofila di una nuova visione che non solo non demonizzi più il consumo di vino ma anzi ne esalti determinate caratteristiche. Con buona pace degli euroburocrati tristi.

La review, che è stata anche al centro del convegno «Bere mediterraneo» organizzato a Palazzo Giustiniani dal vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio, è frutto dell'impegno di un gruppo di ricercatori indipendenti di diverse istituzioni accademiche italiane: Silvana Hrella e Marco Malaguti del Dipartimento di Nutrizione umana dell'università di Bologna, Laura di Renzo di Biomedicina e prevenzione di Roma Tor Vergata, Luigi Bavaresco, di Scienze delle produzione viegetali sostenibili dell'università Sacro Cuore di Piacenza, Elisabetta Bernardi di Bioscienze, Biotecnologie e Ambiente dell'università di Pisa e Attilio Giacosa di Gastroenterologia e Nutrizione Clinica del Policlinico di Monza. Sono stati selezionati 24 studi scientifici pubblicati tra il 2010 e il 2022 e riguardanti le malattie cardiovascolari, il diabete di tipo 2, le malattie neurodegenerative, il cancro e la longevità. Incrociando i dati di questi studi, è emerso che un livello di assunzione moderata comporta rischi certamente inferiori ai benefici, soprattutto nello stile tipicamente mediterraneo del consumo moderato, in età adulta e durante i pasti, ciò che diminuisce gli effetti tossici dell'etanolo ed esalta le difese antiossidanti e disintossicanti «in grado di modulare le difese dell'organismo e proteggere dalle malattie cronico/degenerative».

L'Italia affila le armi.

Lo dimostra anche la nascita dell'Irvas (Istituto per la ricerca su vino, alimentazione e salute) presieduto da Luigi Tonino Mrsella, del dipartimento di Biomedicina e prevenzione dell'università di Roma Tor Vergata, con lo scopo di promuovere e facilitare la diffusione della conoscenza del consumo moderato del vino e della dieta mediterranea. Non è un caso che quando si fa un brindisi gridiamo: salute!

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