Speranza, quel "grigio uomo d'apparato" che voleva farci spiare tutti

Il ministro della Salute Roberto Speranza, nel bel mezzo di una pandemia è completamente sparito dai radar, ma ha trovato il tempo di scrivere un libro sul coronavirus

Speranza, quel "grigio uomo d'apparato" che voleva farci spiare tutti

"Perché guariremo”. Ce lo spiega libro il ministro della Salute Roberto Speranza che, nel bel mezzo di una pandemia, ha trovato il tempo di scrivere un libro sul coronavirus.

Poco importa che il governo sia arrivato totalmente impreparato alla “seconda ondata”, sebbene l’avesse ampiamente prevista. “Il ministro della Speranza, Salute”, come lo ha ribattezzato la conduttrice del Tg1 che il 2 settembre ha commesso questa terribile gaffe, da mesi risulta l’esponente di governo più amato dagli italiani, subito dopo il premier Giuseppe Conte. Un attestato di stima e di fiducia che gli viene accordato nonostante una gestione molto lacunosa dell’emergenza da coronavirus: l’app Immuni si è rivelata un flop, mancano all’appello migliaia di medici, infermieri e di posti letto di terapia intensiva. L'unica idea innovativa, recentemente partorita dal titolare della Salute è la pratica della delazione per stoppare eventuali feste private. "È chiaro che aumenteremo anche i controlli, ci saranno segnalazioni", ha dichiarato nel corso di un'intervista rilasciata a Fabio Fazio nella quale parlava del divieto di fare cene private con più di sei persone. Divieto che, poi, è diventato consiglio e la terribile gaffe dal sapore di stampo sovietico è stata dimenticata nel giro di pochi giorni perché, stranamente, il ministro, nonostante tutto, piace. “Speranza ha l’aspetto rassicurante del tipico buon padre di famiglia ed è amato dagli italiani perché la gente pensa che sia lui a curarli. Che lo amino molto o poco, non importa”, spiega il sondaggista Nicola Piepoli interpellato da ilGiornale.it. Ma come ha fatto un quarantenne di Potenza dal carattere schivo e poco carismatico, ad assumere un ruolo così importante? Per capirlo bisogna, appunto, ripercorrere la sua carriera politica.

“Ho una grande passione per gli studi storici che ho coltivato, anche dopo la laurea in Scienze Politiche, conseguendo un dottorato di ricerca in Storia dell’Europa Mediterranea. Sono appassionato di vino e di buona cucina. Amo la Roma di Totti e le serate in giro con gli amici di una vita”, scrive di sé sul suo sito personale il ministro che, dopo alcune esperienze all’estero, scelse di tornare nella ‘sua’ Basilicata. È da qui che Speranza, classe 1979, inizia a muovere i primi passi dentro i DS e, a soli 25 anni, viene eletto consigliere comunale a Potenza. Nel 2005 è già nell'esecutivo nazionale della Sinistra giovanile, movimento giovanile dei Democratici di Sinistra di cui diventerà presidente due anni dopo. Siamo nel 2007 e i Ds si avviano verso la dissoluzione per lasciare spazio a quel Pd “a vocazione maggioritaria” tanto sponsorizzato dall’allora candidato premier del centrosinistra, Walter Veltroni. Speranza, dalemiano di ferro prima e bersaniano poi, assume nel 2009 l’incarico di segretario regionale della Basilicata del nuovo partito. “È uno degli ultimi che ha fatto carriera nel partito, un tipo di carriera che oggi non si potrebbe più fare perché non esiste più quel tipo di struttura di partito”, ci spiega una nostra fonte che conosce Speranza da quando l’attuale titolare del ministero della Salute faceva parte del Comitato che sosteneva la candidatura a premier di Pierluigi Bersani. Era il 2012 e, all’epoca, “lui era segretario regionale quando ricoprire quell’incarico voleva dire diventare il plenipotenziario sulle candidature per le elezioni Politiche”, sottolinea la nostra fonte.

Il vignettista Vauro descrive Speranza come un “giovane vecchio”, un’immagine che corrisponde perfettamente al personaggio. “Non aveva grandi capacità di leadership, ma sapeva tenere insieme le varie anime e fare il lavoro del grigio uomo di apparato”, ci dice chi lo ha conosciuto da vicino. “È il classico esponente di partito che, poi, poteva fare sia il ministro dei Trasporti sia dell’Istruzione o della Salute”, aggiunge chi pensa che Speranza sia “il classico burocrate che riesce a tenersi sempre a galla perché non dice mai una parola fuori posto”. L’unico guizzo, se così lo vogliamo chiamare, risale al 2015 quando si dimette da capogruppo della Camera dopo che l’allora premier Matteo Renzi decide di porre la fiducia sull’Italicum. Speranza, che era entrato in Parlamento due anni prima e che ricopriva quel ruolo in quanto uomo di punta della maggioranza bersaniana, trovatosi improvvisamente in minoranza, lascia. Nel 2017 la frattura col Pd renziano si consuma definitivamente e Speranza, insieme a Pier Luigi Bersani e Arturo Scotto, fonda Articolo 1 nel tentativo di creare una sorta di mini-apparato simile a quello nel quale era cresciuto.

Due anni più tardi il suo carattere schivo e tendenzialmente taciturno lo aiuta a farsi nominare, anche grazie allo zampino di Massimo D’Alema, ministro della Salute del governo giallorosso. “Non è una persona che vuol parlare per forza però, poi, questo atteggiamento dà l’idea che sparisca. Ma rispetto a gente che finisce per dire cose fuori luogo, lui rappresenta l’uomo della prudenza”, ci spiegano ancora i suoi ex compagni di partito. Il sondaggista Piepoli, a tal proposito, chiarisce: “Solo un’opinione pubblica malevola può pensare che Speranza sia un fantoccio e che il vero ministro sia il grillino Sileri” che, a differenza del leader di Articolo 1, è medico. La percezione dell’opinione pubblica è che “se un politico non parla, allora significa che agisce”. Poi, però, bisogna sempre vedere quali azioni politiche intraprende. “Non sappiamo se si è trattato di una scelta strategica del governo oppure se le figure di Arcuri o del viceministro tecnico Sileri potevano risultare più rassicuranti. Sta di fatto che, nella fase di lockdown, c’è stata un’assenza del ministro che, in questi momenti di crisi, non dovrebbe esserci”, attacca il deputato Marcello Gemmato, responsabile Salute di Fratelli d’Italia.

L’esponente meloniano, però, rende merito al ministro di aver fatto da “pungiball”. “Molto spesso è venuto in Aula a relazionare, prima di ogni Dpcm, anche quando sarebbe spettato al primo ministro Conte, come nel caso del prolungamento dello stato d’emergenza”, conclude Gemmato.

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