"Rosa e Olindo colpevoli, contro di loro nessun complotto"

I giudici: "Non ci sono elementi nuovi. Tarfusser non legittimato, le interviste in tv non sono prove"

"Rosa e Olindo colpevoli, contro di loro nessun complotto"
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«Non bastano le inchieste giornalistiche e le Iene» a riaprire il processo per la Strage di Erba di Via Diaz dell'11 dicembre 2006, nella quale persero la vita Raffaella Castagna, suo figlio Youssef, sua mamma Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. In quasi 90 pagine la seconda sezione della Corte d'Appello di Brescia presieduta da Antonio Minervini demolisce le tre richieste di revisione del processo avanzate dai legali Fabio Schembri, Nico D'Ascola, Luisa Bordeaux e Paola Morello, dal tutore legale di Olindo Romano e Rosa Bazzi Diego Soddu e dal sostituto Pg di Milano Cuno Tarfusser. Eppure lo scorso 9 gennaio lo stesso Minervini aveva ritenuto ammissibili le richieste, tanto da chiedere il dibattimento.

Secondo le motivazioni il racconto del supertestimone Mario Frigerio, che in precedenza aveva indicato ai pm uno straniero sconosciuto di etnia araba come killer, «è stato lucido e precisissimo» nell'accusare i vicini di casa, contro cui basta «la solidità dell'impianto probatorio». Anzi, «l'assenza del carattere di novità della maggior parte delle prove» rende «fantasiosa» l'ipotesi dei legali della coppia di un ipotetico «accanimento degli inquirenti nei loro confronti», peraltro «già escluso con dovizia di argomenti dalle sentenze di merito e smentito dalla pluralità delle piste seguite nell'immediatezza dell'eccidio» come il movente legato al regolamento di conti legato allo spaccio di droga tra albanesi e marocchini contro la famiglia tunisina di Azouz Marzouk, marito e padre di due delle vittime, «stato invano approfondito nella prima fase delle indagini e non ha trovato alcun riscontro». Certo, sono sparite delle intercettazioni che avrebbero potuto scagionare la coppia. Ma non è certo della Procura di Como, contro cui «non emerge alcun elemento di sospetto in merito alla correttezza dell'operato», non c'è «nessun complotto» né alcuna frode processuale, come aveva invece ipotizzato il sostituto Pg Cuno Tarfusser nella sua richiesta di revisione, considerata «inammissibile perché privo di delega», come ha evidenziato anche il Pg di Milano Francesca Nanni», come se il potere diffuso dei magistrati sancito dalla Costituzione fosse limitato da un regolamento interno.

Le vie di fuga alternative? «Smentite dall'assenza di tracce», anche se i Ris di Parma ne trovarono una sul terrazzino. Impossibile che il Dna sul battitacco della Seat Arosa sia stato contaminato, lo ipotizzò alle Iene lo stesso brigadiere Carlo Fadda che lo raccolse e lo fotografò «con scarsa maestria» come deve ammettere Brescia (dalle foto non si vede la macchia). Questo «non è una prova», né tanto meno valgono «le considerazioni del consulente Marzio Capra (ex numero due dei Ris, ndr)» considerate «generiche» e «già esaurientemente affrontate». E poi, dice la corte, «l'intervistato (vedi Fadda) non ha l'obbligo di dire la verità, condizionato dalle telecamere a compiacere l'intervistatore». Ecco perché casomai c'era bisogno di sentirlo, per capire se mentiva. E invece...

Di fatto la sentenza entra nel merito di alcune prove di cui non si è dibattuto: materiale per il ricorso in Cassazione e la richiesta di un'altra udienza, a Brescia o a Venezia. La giurisprudenza consolidata da altre sentenze in questi casi darebbe ragione alla difesa, ma in questi 18 anni di tira e molla le sorprese non sono mancate.

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