E cinque. Nel tardo pomeriggio, persino in anticipo rispetto ai tempi previsti, il Senato vota la quinta e ultima fiducia sugli articoli del Rosatellum. Stamattina, dopo le dichiarazioni di tutti i gruppi, ci sarà il voto finale a scrutinio palese, poi il nuovo sistema elettorale sarà legge.
Numeri in calo ad ogni voto, man mano che si faceva strada la certezza che la legge elettorale sarebbe passata senza incidenti: se alla prima chiama hanno risposto in 219 (con Forza Italia e Lega che non votavano), all'ultima erano solo in 172. I sì erano 150 all'inizio e 145 alla fine, i no 61 e poi appena 17. Segno che molti fieri oppositori del Rosatellum hanno preferito il bar o la piazza dei protestatari all'aula.
Per il voto di fiducia vale la maggioranza semplice, e la fiducia al governo è rimasta costantemente sotto la soglia dei 161 voti, ossia la metà più uno dei membri della Camera alta, offrendo alle opposizioni il destro per accusare il governo di essere in minoranza. Ma l'obiettivo è stato comunque raggiunto. Con i voti di Pd, centristi di Ap, sinistra filo-Pisapia e Ala di Denis Verdini.
Dal Pd si sono sfilati in otto: quattro senatori della minoranza orlandiana, capitanati da Vannino Chiti, che avevano presentato una serie di emendamenti, poi respinti, per modificare la legge. E quattro senatori eletti all'estero, che temono la concorrenza dei cittadini italiani che ora, in base alle nuove regole, potranno anche loro candidarsi nelle circoscrizioni estere. Otto dissidenti che però sono rimasti in aula (presenti ma non votanti) per assicurare il numero legale.
Più uno: Giorgio Napolitano, che ieri è intervenuto nell'aula di Palazzo Madama per mettere solennemente agli atti le sue critiche al Pd renziano, anche se voterà la legge. Il presidente emerito ringrazia la presidenza del Senato per avergli consentito di parlare seduto, appare affaticato ma assai determinato a bacchettare il merito ma anche il metodo il Rosatellum. Senza nominare Il leader del Pd Matteo Renzi, ma lasciando chiaramente intendere di avercela con lui quando lamenta che con la fiducia sono stati «compressi drasticamente ruolo e diritti tanto dell'istituzione quanto dei singoli deputati e senatori», e giudica «singolare e sommamente improprio il far pesare sul presidente del Consiglio la responsabilità di una fiducia che garantisse l'intangibilità della proposta in quanto condivisa da un gran numero di partiti». La fiducia la ha messa il governo, ma Napolitano si fa paladino del premier assicurando: «Ho compreso la difficoltà del presidente del Consiglio che ho stimato e stimo per il modo in cui ha guidato e guida il paese»,ma che è stato «sottoposto a forti pressioni, e me ne rammarico, e ha dovuto aderire a quella convergente richiesta».
Dal Pd arriva la chiosa diplomatica del renziano Andrea Marcucci, che assicura «grande rispetto per il senso di responsabilità e le critiche del presidente Napolitano», ma difende la legge e la richiesta di fiducia: «Il paese aveva bisogno di una legge elettorale, ed eravamo ormai fuori tempo massimo».
Gli scissionisti Mdp, usciti dalla maggioranza ad inizio ottobre, quando non votarono il Def e fecero dimettere il loro vice-ministro, Filippo Bubbico, hanno annunciato nuovamente (per la terza volta in un mese) la propria uscita dalla maggioranza e si sono accodati ai Cinque Stelle e a Sinistra
Italiana: inizialmente hanno provato a non votare, nella speranza di far mancare il numero legale e saltare la fiducia, poi - visto che lo sforzo appariva vano, grazie anche al voto dei 13 verdiniani di Ala - hanno votato no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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