«La volontaria partenza di Juan Carlos non ha tanti precedenti. Forse l'allontanamento più simile, nel passato, è stato quello di Carol di Romania, negli anni Venti. Lasciò il trono al figlio Michele, che allora aveva pochi anni, sotto la tutela della madre, la regina Elena, zia di Amedeo d'Aosta, per fuggire con Magda Lupescu. Un giorno ci ripensò, tornò e si riprese il trono. Ma su di lui non pendevano accuse». Distingue bene le grandi fughe dei reali di oggi e di ieri, il professor Domenico Savini, storico delle famiglie Reali. Perché hanno avute tutte ragioni o travagli differenti.
Per esempio? Che ragioni e che travagli?
«Penso alla fuga di Elisabetta d'Austria, Sissi. Un'eterna fuga da se stessa. Fu quella che fece più scalpore, sia per l'epoca, sia per il personaggio (erano gli anni '50 dell'800 ed era una donna che anticipava i tempi). Dopo soli quattro anni di matrimonio, adducendo ad una salute «fragile», si imbarcò sullo yacht imperiale e salpò per Madeira, dove restò sei mesi. Da allora, presenziò ai suoi doveri imperiali e matrimoniali il minimo indispensabile. Comprò una casa a Corfù e da lì viaggiò, meglio, fuggì tutta la vita».
In che senso fuggì da se stessa?
«Credo che fosse troppo giovane per il ruolo e avesse poca attitudine per i doveri di corte. Cercò la libertà, e se stessa, tutta la vita. E pagò un prezzo altissimo: fu uccisa da un anarchico in Svizzera».
Altre fughe simili?
«Beh, in un certo senso Lady D. Forse la sua stessa morte fu una fuga dal ruolo che non reggeva, dalla famiglia reale, dalle restrizioni, da un matrimonio fallito... e in un certo senso aprì la strada al figlio».
Al figlio?
«Anche quella dei duchi di Sussex, questa primavera, è stata una fuga. Più per Harry che per Meghan. Lei in realtà è tornata alla sua vita, per lui si è trattato di fuga».
Altri tipi?
«Quella clamorosa del Duca di Windsor, Edoardo VIII, per sposare Wallis Simpson. Anche se forse, non c'erano solo ragioni sentimentali, la sua malcelata simpatia per il nazismo fece il resto. Infatti come prima cosa, una volta sposato, andò a salutare Hitler con la neo moglie».
E quella dei Savoia?
«Quella dei Savoia non fu una fuga, fu un obbligo. Ma io sono indulgente, sia per l'amicizia che mi lega alla famiglia, sia per il profondo rispetto nei confronti di Umberto. Sarebbe stato il miglior Re d'Italia e non si sarebbe mai allontanato. Lo fece per obbedire al padre: i Savoia regnano uno alla volta».
Lo scià di Persia?
«Quella fu una necessità, come ogni volta che si assiste a un cambio di regime. Tra l'altro, quando iniziò la fuga, lui era malato terminale di cancro e non c'era un Paese disposto ad accoglierlo perché era un personaggio scomodo. Subito iniziavano proteste contro di lui, una volta, negli Usa, anche sotto all'ospedale dov'era ricoverato. Ranieri di Monaco fu ospitale con lui. E ovviamente l'Egitto, infatti morì al Cairo un anno e mezzo dopo».
I fuggitivi finiscono sempre in disgrazia?
«No. Penso a tanti membri delle famiglie imperiali russe che riuscirono ad anticipare la Rivoluzione, e poi al principe Jusupov che partecipò all'uccisione di Rasputin, lui riuscì ad andarsene portando via la sua inestimabile collezione di quadri».
L'aneddoto più divertente?
«È legato alla fuga di Maharani di Baroda. Alla caduta del marito, il Maraja di Baroda, fuggì dall'India sul suo jet privato con una cassa piena di rubini e incredibili gioielli.
A bordo c'erano lei, il pilota e l'aiuto pilota che, la minacciarono con una pistola ordinandole di consegnare tutto: diversamente l'avrebbero uccisa. In tutta risposta, lei estrasse dalla borsetta un'altra pistola: Allora moriremo tutti e tre, fu la risposta. Visse tutta la sua vita all'Hotel de Paris di Montecarlo».
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