Con il declassamento del proprio debito sovrano a livello «junk» - «spazzatura» - da parte di Moody's e Fitch, la Russia ha fatto scendere ieri la propria economia di un altro passo verso l'inferno. Ancora un gradino, e sotto si spalanca la bolgia del default. Come nel 1998. Anzi, peggio. Allora c'era l'avvitamento del rublo dietro la bancarotta; oggi c'è un'aggressione militare contro cui l'Occidente ha risposto con la forza di sanzioni mai viste, corroborate dalla decisione delle imprese private di non far più affari con Mosca. L'elenco si allunga giorno dopo giorno (vedi tabella), finendo per diventare un prontuario di rapida consultazione sull'isolamento di Vladimir Putin. Così, spengono i motori delle consegne Renault, Mitsubishi, Jaguar, GM, Chevrolet, Ford, Volkswagen; Mastercard, Visa, PayPal e Apple Pay attuano il blackout dei pagamenti elettronici sul suolo russo; Ikea e H&M tirano giù le saracinesche; Dhl e FedEx volano altrove; Disney e Netflix spengono gli schermi; Generali chiude l'ufficio di rappresentanza a Mosca e abbandona il board della compagnia assicurativa russa Ingosstrakh; infine, fedele al motto fate l'amore, non la guerra» Pornhub oscura i video hard. Una presa di distanza netta, variegata e collettiva. Per una volta, cala il sipario sul business as usual. Senza calcoli, senza l'occhio preoccupato sui fatturati e sul carnet di clienti destinato, inevitabilmente, ad assottigliarsi.
È una faglia che si apre nel capitalismo oligarchico. Può diventare voragine se altri seguiranno l'appello di Lukoil a deporre le armi. «Sosteniamo una rapida fine del conflitto armato e sosteniamo pienamente la sua risoluzione attraverso un processo di negoziazione e mezzi diplomatici». Un no war ben più forte di quello arrivato da Roman Abramovich con la decisione di riservare alle vittime della guerra i proventi della futura cessione del Chelsea, perché arriva dall'incarnazione su scala petrolifera dello zar Vlad. Dal colosso che, ogni anno, girava al Cremlino ricchissimi dividendi in valuta pregiata. Cedole al profumo di petrodollari ora evaporate, mentre sale l'odore acre di un collasso che, stima Goldman Sachs, sarà composto da una miscela di inflazione galoppante (al 17% entro fine anno), recessione (-7% il Pil), rublo in ginocchio (un altro 10% ieri in meno contro il biglietto Usa) e tassi d'interesse, ora al 20%, destinati ad arrampicarsi ancora.
Su un quadro già fosco si allungano le ombre del default. Una data è già segnata con l'evidenziatore "flou" sulle agende degli investitori: è il 16 marzo, quando Mosca sarà chiamata a versare 107 milioni di interessi su due bond governativi. Ma dopo il mancato rimborso, mercoledì scorso, di due obbligazioni sovrane da parte della Banca di Russia, nessuno si illude che gli impegni saranno onorati. Il forte rialzo dei credit default swap, gli ombrelli contro il rischio di insolvenza, misura invece i timori crescenti di una replica - in peggio - di quanto accaduto quasi un quarto di secolo fa. Quando l'incipit del fallimento venne dalle parole con cui il viceministro delle finanze, Mikhail Kasyanov, annunciava che il Paese sarebbe stato in grado di rimborsare meno di 10 miliardi di dollari del suo debito estero di 17 miliardi. Oggi, stando ai calcoli di JP Morgan, Mosca ha oltre 700 milioni di dollari di pagamenti in scadenza questo mese, quasi tutti provvisti del paracadute dei 30 giorni di grazia. Seppur, in linea teorica, ci sarebbe quindi tempo fino a fine aprile per saldare il dovuto, gli investitori stranieri con in mano 28 miliardi di dollari di Ofz (i bond del Cremlino) non dormiranno tranquilli. Anche perché in questo gioco non va trascurata la variabile delle restrizioni introdotte con le misure punitive. «La Russia potrebbe usare il default come rappresaglia contro le sanzioni occidentali per infliggere perdite agli istituti di credito stranieri. Non è inverosimile pensare che le autorità russe potrebbero vietare il rimborso del debito estero», mette in conto Capital Economics.
Del resto, anche le agenzie di rating si preparano al peggio. L'uso della scure con cui ieri Moody's ha abbassato la sua valutazione sul debito di lungo termine della Russia da Baa3 a B3 e Fitch ha tagliato il suo giudizio da BBB a B potrebbe non essere ancora finita proprio per il peso crescente delle sanzioni, previste sempre più severe soprattutto verso le banche russe.
Mentre le Borse europee hanno vissuto un'altra giornata nera (-2,3% Milano), il London Stock Exchange ha fatto terra bruciata attorno a Rosneft e Sberbank, i cui titoli sono stati sospesi dalle contrattazioni. Per il quarto giorno di fila la Borsa di Mosca è rimasta sprangata. Affari, lì, non se ne fanno più.
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