Vivere in uno Stato autoritario guidato da quello che a tutti gli effetti è un dittatore, non è facile. Vivere in un Paese del genere e azzardarsi a contestare il regime al potere è impossibile. Nella storia recente è la lunga la lista di chi ha osato provare a contrastare il potere assoluto di Vladimir Putin in Russia e ha fatto una brutta fine. Omicidi illustri, strani avvelenamenti, inspiegabili voli dalle finestre, assurdi incidenti, casualissime sparizioni. In alcuni casi, forse (ma forse) più fortunati, arresti e trasferimenti in colonie penali. E del recluso più illustre di Russia, il leader degli oppositori di Putin, il più odiato dal regime, non si hanno notizie da giorni. Aleksei Navalny è sparito, nessuno sa dove sia e la paura che non riappaia più è fortissima.
Ieri doveva presenziare in video a un'udienza dal carcere in cui è rinchiuso per uno dei tanti procedimenti a suo carico ma non si è visto. La scusa è stata quella di un black out nella struttura ma nessuno ci crede. La sua portavoce Kira Yarmish ha comunicato che da una settimana familiari, avvocati e collaboratori non hanno sue notizie. E, peggio ancora, Navalny non risulta più nell'elenco dei detenuti della colonia penale Ik-6 di Melekhovo, nella regione di Vladimir, dove fino alla scorsa era sicuramente recluso. Ufficiosamente si sa che è stato trasferito ma nessuno sa dove e nemmeno quali siano le sue condizioni di salute dopo che nel corso dell'ultima udienza a cui ha partecipato aveva anche accusato un malore. Dallo scorso sei dicembre, i suoi avvocati non hanno avuto il permesso di accedere al carcere e incontrare il loro assistito e a nulla sono servite proteste formali e informali. «Ci hanno detto che non è più negli elenchi del centro detentivo, ma si rifiutano di dire dove è stato trasferito», spiegano dal suo staff.
Che fine ha fatto? Navalny stava già scontando una condanna a 11 anni e mezzo per frode e altre accuse palesemente costruite ad arte per toglierlo di mezzo. Del resto da anni è una delle principali minacce al regime putiniano. In prima persona ha organizzato proteste di piazza prima e utilizzato i social media per denunciare la corruzione e il marcio che albergano al Cremlino. Scomodo, odiato e ritenuto il nemico numero uno. Al punto da essere avvelenato con il famigerato agente chimico Novichok nel 2020. Ma è sopravvissuto, e nonostante il carcere, ha portato avanti la sua missione. Ultimo atto, il qr code affisso per le strade di Mosca nei giorni scorsi, dopo l'annuncio della ricandidatura di Putin alle presidenziali. Inquadrandolo, compariva il link di un sito in cui si invitavano gli elettori a boicottare lo Zar, lanciando il movimento «Russia senza Putin».
Lo Zar ha sempre mal sopportato le sue iniziative, anche perché all'estero l'eco delle sue denunce è sempre stato molto forte. Al punto che la Casa Bianca ha espresso preoccupazione per la situazione chiedendo ufficialmente il suo immediato rilascio. «Se i servizi segreti avessero voluto ucciderlo avrebbero già finito il lavoro», ha detto Putin dopo l'avvelenamento. La sensazione era, almeno fino ad oggi, che la forte personalità di Navalny, avrebbe spinto Putin a frenarsi, a non superare la linea che porta all'omicidio politico fermandosi, per così dire, alla carcerazione, anche per non trasformarlo in un martire-eroe.
Ma Navalny è rimasto una spina nel fianco del regime, portando avanti dalla sua cella anche una durissima campagna contro l'invasione dell'Ucraina. «Vogliono assicurarsi che la sua voce non venga ascoltata», spiegano dal suo staff. Resta solo da capire se solo per un po'. O questa volta per sempre.
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