L'influenza russa nei processi democratici è la «nuova normalità» in Gran Bretagna, ma il governo non fa una piega. Signori e signore, benvenuti a Londongrad. È questo l'appellativo dato alla City dagli autori del rapporto sulle possibili influenze di Mosca nella partecipazione alla vita politica e pubblica degli inglesi. Il documento, frutto di 18 mesi di lavoro di una commissione parlamentare trasversale, che ha sentito rappresentanti dei servizi segreti e esperti indipendenti, era pronto nove mesi fa, ma è stato reso pubblico soltanto ieri dal governo di Boris Johnson. E forse, sebbene Downing Street neghi, il ritardo non è stato del tutto involontario visto che l'esecutivo ne esce malconcio. Seppur non affermate direttamente, le conclusioni del documento risultano chiare. Il governo Conservatore ha fallito nel difendere la propria democrazia, perché «non ha visto o cercato le prove di un'interferenza russa nei suoi processi democratici». La Commissione non è riuscita a dimostrare se il Cremlino ha pilotato il voto nel referendum sull'uscita dall'Europa perché il governo non ha collaborato. «Quando l'abbiamo chiesto, non ci è stata fornita nessuna relazione da parte dell'intelligence» si legge nel rapporto. Eppure l'atteggiamento è stato ben diverso quando si è trattato di capire se Mosca avesse tentato di manovrare le elezioni Usa del 2016. «In quel caso - spiega la commissione - i servizi confezionarono un relazione entro due mesi dai risultati e vennero rese pubbliche persino delle informazioni non classificate».
Si fa notare che studi visibili a tutti avevano puntato il dito sui movimenti sospetti sui social media riconducibili a fonti russe, tutti antieuropeisti e pro Brexit, dimostrando un chiaro tentativo di inquinare i processi democratici britannici e questo fin dal referendum sull'Indipendenza della Scozia del 2014. Nonostante ciò a Downing Street nulla si fece. «Non riteniamo necessaria una relazione retrospettiva sul referendum sull'Europa» fu la risposta ufficiale del portavoce governativo alle richieste della commissione. I motivi di un simile comportamento sono stati ipotizzati più volte nel corso di questi ultimi mesi. Il rapporto afferma che il Regno Unito «era chiaramente uno dei principali obiettivi dell'infiltrazione russa», ma nessun governo si è mai voluto occupare di una simile «patata bollente». Né quello di Theresa May, né, tantomeno, quello di Johnson primo promotore della Brexit. «La minaccia è stata sottovalutata da tutti e ora stanno ancora tentando di recuperare». Ma va considerato anche lo stretto legame tra la politica nazionale e decine di membri dell'elite russa molto vicini al presidente Putin. «La Gran Bretagna è divenuta la meta preferita per gli oligarchi russi e il loro denaro» afferma la commissione, che li definisce una forza corruttiva dirompente nella vita pubblica inglese grazie alle loro importanti connessioni. «Molti di loro sono coinvolti in gruppi politici o di beneficenza» afferma il rapporto senza fare però alcun nome. E nessuno viene citato neppure quando si spiega che alcuni membri della Camera dei Lord hanno degli interessi in Russia o lavorano per aziende russe collegate al Cremlino.
«Il governo è sempre stato pienamente consapevole della minaccia costituita dalla Russia» è stato il commento di Downing Streetdopo la diffusione del rapporto. Furiosa invece la replica di Mosca. «Questo si chiama Russophobia - ha dichiarato il ministero degli Esteri, affermando che, al contrario, il rapporto azzera ogni sospetto di una loro interferenza nella Brexit.
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