Era al potere dal 2010, secondo leader più longevo d'Europa, ed è stato il falco olandese che attaccava l'Italia. Mark Rutte, che ha annunciato l'addio alla politica dopo la caduta del suo quarto governo, ha avuto con Roma un rapporto sempre critico. Lo definiscono il maghetto per via dei suoi occhialetti tondi e per la pettinatura alla Harry Potter, mentre i vignettisti olandesi lo paragonano al piccolo Hans, il giovane eroe di Haarlem che con il suo dito infilato tutta la notte in una diga evitò un'inondazione.
Altro epiteto ricorrente è «Mr. No, No, No», per un video che lo ritrae con un netturbino che gli chiede di non dare soldi «a quei francesi e a quegli italiani». Dell'esponente del Partito popolare per la libertà e la democrazia si ricordano le passeggiate in bicicletta per non usare l'auto blu quando doveva recarsi dal re dei Paesi Bassi, Guglielmo Alessandro Nicola Giorgio Ferdinando di Orange-Nassau. O quando rovesciò una tazza di caffè ai tornelli dell'Europarlamento e pulì il pavimento con uno straccio preso in prestito dagli inservienti.
Ma di lui si ricordano anche duri attacchi all'Italia legati a politiche di ultra-austerità che da sempre lo hanno contraddistinto, ispirate alla dottrina cara all'ex ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble. I Paesi Bassi di Rutte sono sempre stati convinti della propria influenza sull'Ue e dubbiosi verso quei Paesi della sponda sud che manifestavano problematiche e sensibilità diverse, sui bilanci quanto sui migranti.
Nel 2012 andò di sciabola quando disse che il Partito popolare europeo «sostiene Mario Monti e non Silvio Berlusconi». Nel novembre del 2018 minacciò apertamente: l'Italia rispetti le regole o sarà procedura d'infrazione ma poi nel 2021 bacchettò un certo Mario Draghi, reo di aver proposto di rendere strutturale i 100 miliardi del Sure, il programma per sostenere l'occupazione in Europa. Disciplina e parsimonia il suo slogan in seno ai palazzi europei, da un lato prono ai desiderata di Berlino e dall'altro pronto a finalizzare per scopi interni le contraddizioni europee.
Di lui Romano Prodi disse che «molti decenni fa quando in caso di decisioni urgenti da prendere a Bruxelles non potevano arrivare in tempo le istruzioni del governo italiano, vigeva la cosiddetta legge di Fracassi, cioè di votare contro i Paesi Bassi».
Nel gennaio 2021 il suo governo si dimise per lo scandalo degli assegni familiari: circa 20mila famiglie vennero ingiustamente accusate di frode dall'autorità fiscale. Rutte se ne assunse la responsabilità («sono stati commessi errori a tutti i livelli dello Stato, con il risultato che è stata fatta una terribile ingiustizia a migliaia di genitori»), mossa che probabilmente gli valse la vittoria alle successive elezioni. Il cambio di passo si verificò nell'aprile 2021, quando il primo ministro olandese sopravvisse a una mozione di sfiducia ma al contempo venne colpito da una forma di censura scoccata da tutta la sua coalizione. Era l'inizio della fine.
La sua longevità è stata oggetto di analisi e riflessioni, basate sul desiderio di stabilità dell'elettorato olandese e sulla mano ferma con cui ha gestito la pandemia.
Jan Driessen, ex consigliere di Rutte per la campagna elettorale, disse che in tempi incerti le persone sembrano scegliere in modo schiacciante stabilità, continuità ed esperienza. «Non si permette a chi non ha mai pilotato un Boeing di farlo volare per la prima volta in caso di tempesta». Oggi il pilota ha dismesso le mostrine.
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