Sferzata sul vaccino anti Covid. La commissione per l'utilizzo di medicinali sull'uomo (Chmp) dell'Agenzia del farmaco europea (Ema) ha avviato la prima «revisione continua» del vaccino sviluppato dalla società AstraZeneca in collaborazione con l'Università di Oxford. Significa che il comitato ha iniziato a valutare il primo lotto di dati sul vaccino, che provengono da studi di laboratorio (dati non clinici). Ciò non significa che si possa giungere a una conclusione sulla sicurezza e l'efficacia del vaccino, poiché gran parte delle prove deve ancora essere sottoposta al comitato. Una revisione progressiva è uno degli strumenti normativi che l'Agenzia utilizza per accelerare la valutazione di un medicinale o vaccino promettente durante un'emergenza sanitaria pubblica.
L'annuncio fa ben sperare ma la comunità scientifica, a cominciare dal farmacologo Silvio Garattini, fondatore dell'istituto Mario Negri. «Verranno tagliati i tempi dell'iter» che dovrà affrontare il prodotto scudo per sbarcare sul mercato, «ma senza che l'ente regolatorio perda la possibilità di studiare bene il dossier. In pratica ci si porta avanti, conoscendo in anticipo quello che è stato fatto finora. Mi sembra un buon segno, nell'idea di accelerare i tempi burocratici». «È una garanzia di velocità, ma anche di sicurezza che tutti i dati verranno analizzati. Inizieranno con la parte preclinica».
La soluzione anti Covid potrebbe tuttavia essere negli anticorpi prima ancora che nel vaccino. Dopo la scoperta dei super anticorpi messa a segno all'ospedale Sacco di Milano, anche dai ricercatori del San Raffaele viene presentato uno studio analogo. Grazie a un approccio innovativo, solitamente usato per lo studio dell'autoimmunità nel diabete di tipo 1, il gruppo di ricercatori ha mappato la risposta anticorpale di 509 pazienti con Covid ricoverati presso l'istituto e ha identificato una classe di anticorpi molto efficaci nel combattere l'infezione: tanto efficace da ridurre la mortalità del 60%. La ricerca, pubblicata sul Journal of Clinical Investigation, è stata condotta nei laboratori dell'Istituto di Ricerca sul Diabete diretto da Lorenzo Piemonti. In questo caso invece di riconoscere una minaccia esterna, gli anticorpi riconoscono cellule dell'organismo e guidano il sistema immunitario del paziente ad attaccarle. «Rispetto alla situazione di una malattia virale, nel caso delle malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1 la quantità di anticorpi presenti nel sangue è piuttosto bassa. Rilevare queste molecole con successo e distinguerle richiede metodiche ad alta sensibilità e specificità» spiega Piemonti. «Tra i tanti anticorpi possibili, capire quali sono più efficaci per sconfiggere il Covid è fondamentale, perché sono quelli che vorremmo monitorare nei pazienti, vorremmo utilizzare a scopo terapeutico e di cui vorremmo sollecitare la produzione con un eventuale vaccino».
Gli anticorpi individuati al Sacco invece provengono dall'evoluzione degli studi su Ebola «contro cui - spiega il responsabile di Malattie Infettive Massimo Galli - una delle poche cose che funzionò fu un cocktail di anticorpi neutralizzanti». «Sono stati isolati due anticorpi derivanti da altrettanti donatori - precisa Galli - Ce ne sono almeno altri due al mondo, ma questi sono due in più e visto il loro potenziale terapeutico potrebbero essere riprodotti su larga scala».
I primi studi sul sangue dei guariti Covid e dei convalescenti sono stati fatti a Siena dove, mentre
erano in corso le polemiche sui limiti delle terapie al plasma, i ricercatori si sono messi alla ricerca di anticorpi, guidati dal «re dei vaccini» Rino Rappuoli, da ieri professore straordinario all'università di Siena.
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