Roma - Nel Paese tramortito dagli scandali, nel campo dei miracoli di gatto Matteo (dalle opposizioni ri-nominato Rolex Renzi) e volpe Maria Etruria (al secolo Boschi), ecco che si compie l'ennesimo passettino di quella strategia complessiva che Giorgia Meloni definiva ieri «di distrazione di massa». Una «schiacciante» maggioranza di 367 voti, non eletta e non voluta dai cittadini, mette il primo timbro di «doppia conforme» alla riforma costituzionale che il premier Renzi immagina come puntello indispensabile al proprio potere assoluto. Il testo torna al Senato e, ad aprile, ancora alla Camera per la scontata approvazione definitiva.Ma la partita vera si giocherà soltanto dopo, a ottobre, quando il presidente del Consiglio, confondendo interesse personale con quello del Paese, giocherà l'intera sua posta sul referendum confermativo.
Passaggio che serve a Palazzo Chigi sia per «ammortizzare» l'esito che non si prevede esaltante per le amministrative di primavera, sia per incamerare un «sì» degli italiani sotto mentite spoglie. Chi voterà a favore - tante potrebbero anche essere le astensioni, considerata la materia e il disincanto - verrà dalle fanfare renziane ascritto tra i fan del governo. Al punto da far intuire che un Renzi vittorioso porterebbe il Paese alle urne subito dopo per mettere nel forziere il consenso. «Comunque vada a finire, lo scenario politico cambierà radicalmente: o ci sarà un nuovo governo o si andrà al voto», sintetizza Deborah Bergamini (Forza Italia).Ma se la giocata d'azzardo del premier peserà sicuramente sulle spalle degli italiani e dei loro concreti interessi, è altrettanto vero che la partita potrebbe anche finire assai male, e la giocata risolversi in un boomerang, come auspica (anzi prevede) il capogruppo azzurro alla Camera, Renato Brunetta. Anche perché proprio ieri, sempre a Montecitorio, s'è riunito e contato un «fronte del no» alle riforme renziane assai ampio e agguerrito.
Guidato da Alfiero Grandi, forte dei costituzionalisti Rodotà, Zagrebelski, Pace (solo per citarne alcuni), il comitato ha già raggiunto il quorum di firme (il quinto dei componenti di una Camera) per chiedere il referendum e accettare il guanto di sfida di Renzi. Il dato più confortante sta nell'avvenuta ricomposizione trasversale degli oppositori: collaboreranno attivamente per il «no», a prescindere dall'adesione formale al comitato, anche i Cinque stelle, che ieri hanno innalzato in Aula bandiere e manifestini tricolori durante le votazioni, argomentando che «le riforme servono solo a dare pieni poteri a Renzi». Per il «no» a una riforma «sgangherata e pericolosa», come l'ha definita Vendola, si sono espressi, oltre che Forza Italia e Fratelli d'Italia, anche i leghisti e Sel-Sinistra italiana. Si preannuncia perciò un referendum «per mandare a casa Renzi», come l'ha definito l'azzurra Mariastella Gelmini.Radicalizzazione plebiscitaria voluta dallo stesso Renzi che preoccupa non poco i contraenti deboli dello scellerato patto di potere al governo: la minoranza interna del Pd (Cuperlo piange un «referendum diventato plebiscito personale») e i centristi alfaniani, sballottolati tra un «sì» alla poltrona garantita da Matteo e lo «schiaffone» che si profila con la legge sulle unioni civili (una maggioranza variabile aperta ai grillini).
Garrulo, come sempre, il cinguettio di Renzi che ieri compiva i 41 anni: «Voto schiacciante in attesa del referendum. Stiamo dimostrando che per l'Italia niente è impossibile». Assunto, quest'ultimo, sul quale sembra francamente impossibile dissentire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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