Quando ci risponde al telefono, Massimiliano Latorre ha la voce rotta. Sa già quale sarà il tema della nostra conversazione: la detenzione di Cecilia Sala in Iran e i (vecchi) tweet della giornalista contro i marò ingiustamente detenuti in India. Un caso iniziato nel 2012 e che si è chiuso solamente dieci anni dopo, nel 2022, con l'assoluzione dei due militari. Un'esperienza, quella di quegli anni, che ha segnato duramente Latorre.
Che effetto le ha fatto la notizia dell'arresto in Iran della reporter Cecilia Sala?
«Mi ha riportato immediatamente indietro nel tempo. Ho pensato che è profondamente ingiusto che una persona non possa fare il proprio lavoro e venga imprigionata senza colpa. Stiamo parlando di una giornalista che era andata lì a fare il proprio mestiere. Essere privati della libertà è terribile: ti senti impotente».
Spulciando sui social, sono stati ripescati vecchi tweet della Sala contro i marò.
«Da militare e da uomo mi spiace leggere quelle parole. Sputare sentenze non è mai corretto perché si dovrebbe sempre verificare ciò di cui si parla e, nel nostro caso, Cecilia ha sbagliato. Mi auguro che quando sarà tornata - e sono certo che con questo governo la sua storia si risolverà bene - potremo sentirci. E non per delle scuse, che lasciano il tempo che trovano, ma per confrontarci su questa esperienza che ci unisce».
Lei non dimentica il passato quindi
«Può essere che la Sala abbia fatto quelle esternazioni per un suo pregiudizio politico o a causa della sua giovane età. Le motivazioni mi interessano poco. In ogni caso credo che si sia lasciata trascinare e che abbia parlato per partito preso. Sono convinto però che il tempo aiuti, soprattutto a crescere e riconoscere i propri errori».
Qual è il consiglio che darebbe a Cecilia per aiutarla a resistere?
«Posso solo dirle ciò che ha aiutato me, sperando le serva. Le direi di fare affidamento sulla forza dell'innocenza e di non abbassare la testa. Lo deve fare perché è italiana. Vorrei farle arrivare il calore della gente. In queste situazioni non c'è mai un colore politico: ci sono solamente gli italiani di fronte a un'ingiustizia da combattere e a una innocenza da far riconoscere. Come dicono gli alpini: Tieni botta, Cecilia».
Nessun rancore per quei post?
«No e nemmeno odio. Questi due sentimenti non mi appartengono, anche perché ti incattiviscono, ti logorano l'anima e ti cambiano. Preferisco essere me stesso, anche a costo di ricevere pugni nello stomaco, senza aver fatto male a nessuno e di poter dire a me stesso: Hai sempre rispettato il tuo prossimo come ti hanno educato i tuoi genitori».
Forse, come è successo sulla vostra pelle, anche su quella della Sala si stanno giocando partite più grandi.
«Dopo dieci anni di calvario, nessuno ha riportato la notizia della nostra innocenza. Quando bisognava darci degli assassini tutti parlavano di noi. Da militare questo trattamento mi ha fatto molto male ed è il motivo per cui ho voluto raccontare la mia versione dei fatti in un libro intitolato Il sequestro del marò. Conversazione con Mario Capanna. Mi auguro che Cecilia, una volta rientrata, si veda riconosciuto quello per cui a me non è stata data la gioia per cui esultare: l'innocenza».
La Sala stava facendo il suo lavoro come voi stavate facendo il vostro.
«Abbiamo passato molti anni in India e poi abbiamo continuato il nostro percorso in Italia senza avere alcun capo di imputazione. Come Cecilia, che è stata incarcerata senza alcuna accusa precisa. L'unica cosa che ci divide è che noi avevamo le stellette mentre lei no. Se potessi, oggi vorrei essere al posto suo in cella per toglierle questo peso».
Cosa augura a Cecilia?
«Spero
che possa trascorrere il nuovo anno in Italia. So che mancano pochi giorni e che è praticamente impossibile ma glielo auguro. E, se questo non fosse possibile, le auguro che possa almeno vedere la luce in fondo al tunnel».
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