
In Italia in tema di salari le cose stanno migliorando, perché nel 2024 si è registrata una crescita media del 2,3%. Non c'è dubbio, però, che da decenni gli italiani devono fare i conti con un deciso declino dei salari e dei redditi «di lunga durata», le cui ragioni sono numerose. La strada da recuperare, quindi, resta ancora molto lunga.
Secondo l'ultimo rapporto dell'Ilo (l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di tali temi), nessuno tra i Paesi del G20 conosce una performance tanto negativa come quella italiana, che dal 2008 a oggi ha segnato un calo dell'8,7% dei salari reali. La percezione di questo impoverimento è assai comune: i freddi dati statistici la confermano.
Bisogna essere consapevoli che in linea di massima i bassi redditi sono la conseguenza di una limitata produttività. La questione da porsi, allora, è per quale motivo l'economia italiana nel suo insieme, salvo alcune lodevoli eccezioni, non ci mette nelle condizioni di fare meglio e di più; e anzi spinge un numero significativo di imprenditori, professionisti e non solo a cercare fuori dai confini la propria realizzazione. Se in generale lavoriamo peggio e questo si riflette nei nostri stipendi, è bene fare chiarezza sulle cause, che non sono per nulla misteriose.
Le principali ragioni sono da addebitarsi a un sistema regolatorio e burocratico che imbriglia chiunque, ostacolando la libera iniziativa e quindi la crescita. Se poi teniamo presente quanto è alto il prelievo fiscale, il collasso dell'economia nel suo insieme e il conseguente calo dei salari risultano ben comprensibili.
Per giunta, i dati sull'alfabetizzazione dicono che un numero ancora basso di italiani consegue una laurea. Eccezion fatta per la Romania (che però ha risultati migliori nelle facoltà scientifiche), nessuno in Europa ha pochi laureati come noi; e per giunta molti di loro, conclusi gli studi, se ne vanno.
In aggiunta a ciò a seguito dell'imporsi di logiche egualitarie il sistema scolastico non funziona più quale ascensore sociale (sul tema è sufficiente leggere il bel volume di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi, «Il danno scolastico» edito da La nave di Teseo). Di conseguenza non abbiamo ricambi nelle élite, ma invece una società di figli di papà. In altre parole l'Italia ha individuato una sua via verso il socialismo e le conseguenze si ritrovano anche nelle buste paga.
Essere consapevoli di quanto è successo può però aiutare a superare le difficoltà. Abbiamo infatti bisogno di meno Stato e più concorrenza, meno burocrazia e più libera iniziativa, meno garanzie e più incentivi a dare il meglio di sé: fin dai banchi di scuola. Abbiamo bisogno di reintrodurre inventivi a ogni livello, insieme a competizione e libera impresa.
Gli storici dell'economia non hanno difficoltà a mostrare in che modo, dal centrosinistra in poi, è stato dissestato
il «miracolo economico» del dopoguerra italiano. Partire dalle ragioni dell'insuccesso può aiutarci a ritrovare la via per avere un futuro diverso, che offra redditi migliori e quindi prospettive più serene per il futuro.
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