Per salvare l'Europa servono mille miliardi

Gli attentati di Bruxelles hanno aumentato il rischio della Brexit Che vorrebbe dire l'inizio della fine dell'Ue. Ecco come evitarlo

Per salvare l'Europa servono mille miliardi

Quando la situazione si fa calda, bisogna tenere la testa fredda, e abbandonare i luoghi comuni. Fare compressione semantica, per trovare la chiave interpretativa degli eventi in mezzo al caos. Semplificare, senza banalizzare. Ma selezionare le risposte giuste.L'effetto più sconvolgente, e di cui finora nessuno ha mai parlato, degli attentati di Bruxelles di martedì scorso, oltre al dolore e alla paura, è l'aumento in Gran Bretagna dei favorevoli all'uscita dall'Unione europea nel voto al referendum del prossimo 23 giugno.Significativo un tweet di Allison Pearson, già editorialista del Daily Mail, subito dopo le esplosioni, che recitava: «Se Bruxelles, di fatto capitale dell'Ue, è anche la capitale jihadista d'Europa, allora si sta più sicuri fuori dall'Ue. #Brexit». Un sillogismo spurio, anomalo, ma maledettamente reale. D'altra parte, la concretezza «bottegaia» degli inglesi è nota: quando un business non è più conveniente, lo abbandonano.Altro segnale: il 22 marzo, giorno della tragedia, il cambio euro/dollaro è rimasto sostanzialmente stabile, mentre è crollato il cambio sterlina/euro. Ci si aspettava il contrario, vale a dire il deprezzamento della moneta unica europea tanto rispetto al dollaro quanto alla moneta inglese, quindi l'apprezzamento di quest'ultima.Perché non è andata così? Perché i mercati, che ci vedono lungo, hanno già cominciato a scontare il rischio che dopo gli attentati di Bruxelles il fronte del Sì all'uscita dall'Ue diventi maggioritario in Gran Bretagna, dove si attribuisce alla politica europea delle maglie larghe in tema di immigrazione la responsabilità degli attacchi terroristici e della scarsa sicurezza dei cittadini.Chi ce lo fa fare a restare dentro un'Unione che non ci dà nessun vantaggio, anzi mette a rischio la nostra incolumità? Questo il dubbio amletico degli inglesi che, se l'Europa non reagisce, può portare alla vittoria dei Sì al referendum.I problemi a questo punto sarebbero dell'Ue, perché la Brexit non sarà altro che l'inizio della fine, l'innesco del processo di disgregazione. Per evitare che ciò accada, l'Europa deve da subito tornare protagonista in campo economico, politico, militare, culturale, coinvolgendo in questo processo di ricostruzione anche gli alleati transatlantici, insieme con la Federazione Russa e, perché no, anche la Cina.Serve a questo punto una riflessione non rituale e non retorica su quanto è avvenuto martedì scorso a Bruxelles e su quanto sta avvenendo da tempo in Europa. Abbiamo davanti a noi, oltre a quella terroristica, almeno altre due emergenze tra loro correlate. Quella dell'immigrazione e quella economica.L'emergenza immigrazione, figlia dell'incapacità dell'Ue di gestire le tensioni geopolitiche, finora ha avuto risposte inadeguate a livello continentale. Il recente accordo con la Turchia sembra non solo ipocrita, ma soprattutto inefficiente: non può funzionare.

Allo stesso modo, l'emergenza economica sta nuovamente squassando il nostro Continente. Contro la rete globale terroristica deve esserci per forza di cose, se si vuole essere vincenti, una risposta della stessa ampiezza geopolitica. Una risposta che sia allo stesso tempo economica, culturale, valoriale.La risposta geopolitica: una nuova Pratica di MareL'emergenza terroristica si può affrontare soltanto con una grande alleanza che ripeta lo schema del 28 maggio 2002. Quel giorno a Pratica di Mare si ritrovarono insieme i leader dei 19 paesi Nato, il segretario generale dell'Organizzazione e il presidente della Federazione Russa. Lì firmarono la dichiarazione di Roma, che costituì un Consiglio a 20 grazie al quale le porte dell'Alleanza atlantica si aprirono a quello che fino a pochi anni prima era stato il grande nemico.Si mise così fine alla contrapposizione che aveva caratterizzato gli anni della guerra fredda e si inaugurò una nuova fase della storia mondiale, che aveva come obiettivo primario la lotta contro il terrorismo. Questo tema è ancora oggi al primo posto dell'agenda mondiale. E per affrontarlo come si deve dobbiamo rinnovare lo schema del 2002, secondo il suo spirito originario.Abbiamo purtroppo sperimentato in questi anni il ritorno della guerra fredda. E le sanzioni contro la Federazione Russa, a seguito della crisi Ucraina, tengono lontani innaturalmente, e contro gli interessi comuni di lotta al terrorismo e di prosperità economica, l'Ue e la Russia.L'Europa oggi si trova nella necessità di promuovere l'implementazione di quanto deciso a Pratica di Mare e smarrito per strada in questi 14 anni. L'Italia ha il dovere morale di riproporre quel programma, la cui premessa è la fine della guerra commerciale tra i paesi implicati, con la cancellazione delle sanzioni alla Federazione Russa, per una rinnovata alleanza senza la quale sconfiggere l'Isis resta una pia illusione.Una volta distrutta la cabina di comando pratico e ideologico dell'Islam fondamentalista, che si ammanta del mito dell'invincibilità, fatta ammainare la bandiera nera del Califfo, le cellule jihadiste presenti in Europa e nel mondo si afflosceranno e non troveranno più sostegno militare e santuari dove alimentare il loro disegno di conquista.La risposta economica: un New deal europeo (nell'ambito del quale realizzare le unioni economica, politica, bancaria, di bilancio e sulla sicurezza) e la reflazione tedesca.

Un altro passo importante che l'Unione europea deve fare è di decidere di smetterla con il «sangue, sudore e lacrime», il rigore cieco e l'austerità fine a se stessa che hanno caratterizzato gli ultimi 8 anni dell'Ue e lanciare un grande piano di investimenti, un New deal europeo, da almeno mille miliardi (tre volte l'attuale piano Juncker) freschi in un quinquennio, approfittando dei bassi tassi di interesse, che rimarranno tali almeno nel medio periodo, e utilizzando la garanzia della Banca europea degli investimenti (Bei).Un piano finalizzato a una maggiore integrazione del mercato interno, in particolare nel settore dei servizi; a migliorare la regolazione e la normativa comunitaria; a costruire nuove infrastrutture; a migliorare i programmi di approvvigionamento energetico, di mobilità; a dare impulso agli investimenti in ricerca e sviluppo, innovazione, tecnologia, capitale umano; a creare reti culturali, di difesa e di sicurezza.E ancora: far partire tanti cantieri, reali e virtuali, che significano lavoro, libertà, crescita, sviluppo, speranza, futuro, per ridare all'Unione europea quella centralità che ha perso negli anni della crisi economica e per far tornare il Vecchio Continente a essere modello di solidarietà, di crescita, di futuro. In altri termini, raddoppio del tasso di crescita del Pil nei prossimi 5 anni e almeno 20 milioni di posti di lavoro aggiuntivi.

Questa è la sfida.Chi oggi ha una rete, materiale o immateriale, ha un tesoro. Come le reti infrastrutturali sono state i catalizzatori della nascita degli Stati nazionali nell'800, così le reti europee dovranno essere i catalizzatori della nuova Europa.E il New deal europeo diventerà anche il motore delle quattro unioni da troppo tempo in discussione (politica, economica, bancaria e di bilancio), a cui se ne deve aggiungere un'altra fondamentale, la quinta: l'unione sulla sicurezza.Quattro unioni più una che non possono partire se pensate ancora secondo i vecchi schemi del «sangue, sudore e lacrime», del rigore senza sviluppo, insomma dell'egemonia tedesca, perché richiedono un cambio di paradigma, con un'Europa keynesiana, del lavoro, dell'occupazione, dei diritti.Deve essere questa la vera risposta al terrorismo: il protagonismo europeo non solo a livello di «soft power», vale a dire regole e valori, ma anche a livello di «hard power», cioè crescita, ricerca, capitale umano, reti, tecnologia, modernità, modernizzazione, profitti. In questo contesto va posta, infine, la reflazione in Germania, con la fine del rigore di Merkel e Schauble.Non c'è tempo da perdere. Al prossimo Consiglio europeo all'ordine del giorno devono esserci questi tre punti: una nuova Pratica di Mare, un New deal europeo (nell'ambito del quale, abbiamo visto, realizzare le quattro unioni più una) e la reflazione in Germania. In altri termini, una nuova centralità non solo economica, ma anche politica, diplomatica e geopolitica del Vecchio Continente. Solo così si potrà evitare la Brexit.L'Occidente europeo non può più essere solamente quello dell'egoismo e della miopia della politica economica tedesca, che ha prodotto disoccupazione e impotenza geopolitica, ma deve tornare modello positivo di crescita, lavoro, produttività, solidarietà, accoglienza, democrazia.

Ripetiamo: non c'è tempo da perdere. Le nostre società e le nostre istituzioni democratiche rischiano di saltare in aria come Zaventem, l'aeroporto di Bruxelles. Con la Brexit alle porte questa è l'ultima occasione per salvare l'Europa.

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