È Matteo Salvini il primo a schierarsi apertamente nella lunga partita della successione al Colle. E lo fa lanciando il nome dell'attuale premier. «Se fa bene come presidente del Consiglio, sicuramente potrebbe farlo anche come presidente della Repubblica», dice in una lunga intervista al quotidiano spagnolo El Pais, premettendo che «non decido io il suo incarico». Ma dando anche un altolà alle manovre in corso per convincere l'attuale inquilino del Quirinale a restare almeno un altro anno, per evitare elezioni anticipate e per permettere al governo in carica di portare avanti il lavoro sul post-pandemia e il Recovery plan: «Diciamo che in Italia abbiamo già rinviato troppe elezioni. A febbraio bisognerebbe scegliere il prossimo capo dello Stato, e vorrei rispettare le scadenze. Se sarà Draghi, che sia Draghi». L'intervista rimbalza in Italia in mattinata, e nel pomeriggio di ieri il leader della Lega torna a ribadire il concetto con i giornalisti, durante una visita a Terni: «Se Draghi si presenterà come candidato alla presidenza della Repubblica, lo sosterremo convintamente». Ma niente bis di Mattarella, che, «ha più volte detto che non si vuole ricandidare».
Non è il solo messaggio politico che il capo leghista lancia: c'è anche un'accusa aperta ai suoi anomali alleati di maggioranza, Pd e Movimento Cinque Stelle. Sono loro, dice «che sembrano voler far cadere il governo o aprire una crisi», mentre lui è disponibile «ad arrivare al 2022, e anche al 2023» (ossia dopo l'elezione del nuovo presidente della Repubblica). Certo governare insieme «è un'esperienza temporanea», ma «non mi piace che la sinistra la viva come una provocazione quotidiana: vorrebbero restare soli al governo, ma io non mi muovo di un centimetro. La Lega non romperà con questo governo, siamo solo all'inizio». Il cammino verso le elezioni per il Colle è ancora molto lungo, e nessuno sa come finirà nè «che pesci prendere», come ha confidato tempo fa Dario Franceschini. Nessuno dei due schieramenti in Parlamento è in grado di scegliere autonomamente il capo dello Stato, dunque sarà necessario un accordo trasversale. «Un cambio di governo tra otto mesi, con le possibili ripercussioni sulla fiducia della Ue e dei mercati, è un rischio enorme - sospira un membro di governo dem - Se fossimo un paese serio, dovremmo accordarci per continuare con una larga maggioranza e un governo Draghi anche nella prossima legislatura, per completare in sicurezza il Pnrr. Ma, appunto, dovremmo essere un paese serio...».
Ma il leader leghista sta già iniziando il posizionamento, e intanto si ritaglia il ruolo di più leale azionista del governo Draghi, ribaltando l'accusa di sabotaggio che gli viene mossa da sinistra. Del resto, i focolai di tensione nella maggioranza, in queste ore, nascono soprattutto dal centrosinistra. Non è tanto l'offensiva sui temi «divisivi» (come la legge anti-omofobia), condotta da Pd e M5s su una linea intransigente che non apre ad alcuna modifica condivisa, e che viene criticata anche dentro gli stessi partiti, quanto i ripetuti scontri su provvedimenti e iniziative di governo. Solo ieri, i Cinque Stelle hanno minacciato lo strappo sul Dl Sostegni per alcuni stralci chiesti dalla Ragioneria di Stato: «La fiducia non la votiamo». Sono state necessarie ore di trattativa, con continui rinvii dell'aula, per arrivare ad un'intesa. I renziani di Italia viva hanno subito accusato M5s di voler destabilizzare il governo: «Ci sono alcuni partiti di maggioranza, grillini in primis, che si comportano come vedove di Conte, ogni giorno minacciano di non votare o ricattano Draghi su questo o quel provvedimento: un atteggiamento irresponsabile».
Sulla scuola intanto è proseguito anche ieri lo scontro tra Lega e M5s, che si oppone al piano di stabilizzazione dei precari del ministro Bianchi. Un clima di incertezza e rissosità, alimentato dalla crisi verticale di alcuni partiti (M5s in testa) che Palazzo Chigi avverte e tollera sempre meno.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.