L e previsioni danno sole. Velato, probabilmente. Ma niente pioggia. L'ideale per una passeggiata mano nella mano con la figlia Ginevra. Il fatidico d-day Giorgia Meloni lo inizia nel migliore dei modi. In compagnia della sua bambina. Per una passeggiata rilassante e ristoratrice. Magari nel verde del Parco dell'Appia Antica non lontano da casa. Prima di affrontare i riflettori con il consueto capannello di cronisti in attesa davanti al seggio di Mostacciano, la leader di Fratelli d'Italia dedicherà la mattinata alla famiglia, prima di tornare a eclissarsi dopo la comparsa al seggio elettorale. La sera, poi, tutta un'altra storia. Si chiuderà con la dirigenza del partito nella sede del comitato elettorale che, guarda caso, si trova proprio alla Garbatella, dove la Meloni è nata e cresciuta. Il 4 marzo del suo alleato Matteo Salvini differirà e non poco. Di mezzo c'è la passione per il calcio. Anzi per una squadra che proprio questa sera affronterà il derby a San Siro. Il milanista Salvini dunque arriverà al suo Comitato elettorale soltanto dopo il fischio finale di Milan-Inter. Il suo staff ha già fatto sapere che la giornata in famiglia del leader della Lega terminerà intorno alle cinque del pomeriggio quando è previsto il suo arrivo nel seggio di via Martinetti non lontano dallo stadio. In verità, sport a parte, le posizioni dei due leader sono molto ravvicinate. Come pure i loro destini si somigliano. La Meloni, per esempio, è assurta al rango di segretario di partito proprio con la nascita di Fratelli d'Italia (2014), partito che ha voluto conservare l'eredità dell'ala più conservatrice e identitaria di quella che fu l'esperienza di Alleanza Nazionale. Soltanto un anno prima, nel 2013, Salvini è stato eletto segretario della Lega Nord. Un movimento cui col tempo è venuta a mancare proprio la connotazione geografica. Un partito che, proprio grazie a Salvini, ha a poco a poco disinnescato la miccia del secessionismo per scoprire le virtù del nazionalismo. Ed è su questo binario che i due alleati si scoprono duellanti. Perché, per paradosso, proprio le affinità e il pensiero comune rischiano di diventare il terreno su cui strapparsi gli elettori uno con l'altro. In una delle ultime interviste televisive la Meloni, ad esempio, ha denunciato il rischio ben più che concreto dell'islamizzazione dell'Europa. Con tanto di espressione funebre e addolorata che ricordava le denunce di Marine Le Pen quando era in corsa per l'Eliseo. Denunce che lo stesso Salvini per primo applaudì e tradusse come slogan buoni anche da noi. D'altronde proprio la Le Pen aveva mostrato grande simpatia per il nuovo leader del Carroccio.
E non soltanto condividono gli stessi obiettivi. Salvini e la Meloni condividono anche le stesse ansie. Da quando è stato ufficializzato il nome di Antonio Tajani (attualmente presidente del parlamento europeo) come futuro premier del centrodestra, i due temono la carta a sorpresa delle larghe intese. Durante la campagna elettorale la Meloni ha più volte chiesto agli alleati un gesto forte per sottolineare e sancire senza se e senza ma la fedeltà alla coalizione. Stessa cosa ha fatto il «maldestro» Salvini (tutti ricordano la gaffe di aver usato il Vangelo per giurare fedeltà alla coalizione. Cosa questa ritenuta dagli avversari del centrosinistra come non soltanto irrituale ma addirittura offensiva). D'altronde entrambi hanno rivendicato la possibilità di insediarsi a Palazzo Chigi. Il leader del Carroccio forte della sua previsione («il mio sarà il primo partito della coalizione»), la Meloni invece avanzando una suggestiva novità: essere la prima donna premier della storia repubblicana di questo Paese.
Un orgoglio di genere (più che femminista) che ha anche sbandierato ogni volta che ha tentato di portare la presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini (candidata per LeU) a un confronto televisivo. Duello però mai avvenuto.
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