C'erano pochi dubbi sulla strada che Matteo Salvini avrebbe imboccato in vista della campagna elettorale che porta alle Europee di giugno. Tutti fugati se mai ce ne fosse stato bisogno nelle ultime 48 ore con un deciso uno-due a Fratelli d'Italia e Forza Italia. Agli alleati di maggioranza, infatti, il leader della Lega rinfaccia il sostegno alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Quello attuale e quello che potrebbe arrivare dopo il voto per un eventuale bis. Le cui quotazioni, in verità, sono in deciso calo. A differenza, invece, di quelle sulla futura maggioranza che a Bruxelles deciderà i prossimi vertici delle istituzioni comunitarie, perché non c'è sondaggio che non dia per scontata una riedizione dell'asse Ppe-Socialisti. Insomma, attaccare oggi von der Leyen significa a prescindere dall'interessata opporsi a quello che l'ineluttabilità dei numeri vede come unico campo di gioco possibile dopo il voto. Su cui anche Meloni dovrà convergere, a meno che da premier e presidente del G7 scelga di non sedersi al tavolo dell'Europa che decide. Improbabile se non impossibile. Basti pensare che nel 2019 quando era al governo della Polonia - persino il Pis di Jaroslaw Kaczynski votò per la «maggioranza Ursula».
Salvini, però, si muove in un'altra direzione. Non solo critica duramente von der Leyen, ma esclude di sostenere un futuro candidato presidente appoggiato anche da S&D. E lo fa in chiara contrapposizione con Fdi e Forza Italia. L'affondo a Meloni è arrivato sabato per bocca di Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, con un inatteso attacco frontale alla premier italiana attraverso il videomessaggio consegnato alla kermesse romana di Identità e democrazia organizzata da Salvini. Quello a Forza Italia, invece, è di ieri. Quando il vicepremier ha tenuto a ricordare che cinque anni fa il partito oggi guidato da Antonio Tajani «ha scelto di governare l'Europa con Socialisti, sinistre, Pd, M5s e Orban». «Noi avremmo potuto farlo per convenienza e avremmo avuto titoli di elogio sulla stampa e qualche posto di sottogoverno in Ue, ma coerenza e dignità a casa mia non sono in vendita», dice Salvini.
Insomma, distanze siderali. Con Forza Italia, che milita nel Ppe. Ma pure con Fdi, che aderisce sì ai Conservatori di Ecr dove c'è scetticismo verso una riedizione della «maggioranza Ursula» ma che è condizionato dai vincoli istituzionali con cui deve fare i conti la premier.
In verità, però, anche dentro la Lega in molti sono scettici sulla scelta di occupare lo spazio lasciato libero a destra da una Meloni imbrigliata da Palazzo Chigi. Soprattutto al Nord, culla dell'elettorato leghista. Dove molti dirigenti lamentano la marginalizzazione del Carroccio a Bruxelles degli ultimi cinque anni, scenario che potrebbe ripetersi se come pare scontato - ci sarà una riedizione dell'asse tra Popolari e Socialisti. Perché è il senso dei ragionamenti privati dei governatori Luca Zaia (Veneto) e Massimiliano Fedriga (Friuli Venezia Giulia) essere alleati con l'utra-destra di Afd e non avere interlocuzioni che consentano di incidere nelle decisioni che contano in Ue, per il ceto imprenditoriale e produttivo che la Lega rappresenta è un problema. Non è un caso che in Lombardia dove l'avventura leghista ebbe inizio ci sia agitazione. Qualche giorno fa a Monza, è apparso l'ennesimo striscione che chiede il congresso e questo week end alla gazebata per il tesseramento in provincia di Como erano presenti solo sette gazebi (contro una media degli ultimi anni di 59).
Segnali non rassicuranti, che sono il risultato del malessere per il congresso della Lombardia che manca ormai dal 2015 e dei dubbi sulla linea politica. Sul primo fronte, Salvini ha mandato messaggi distensivi qualche giorno fa, assicurando che il congresso si farà dopo le Europee. Sul secondo, restano i distinguo. Magari non pubblici, ma ribaditi con insistenza nelle riflessioni private dei big leghisti. Mercoledì scorso, per dire, il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo era a pranzo nel ristorante di Palazzo Madama in compagnia di alcuni senatori del Carroccio (tra cui la veneta Mara Bizzotto e il toscano Manfredi Potenti). Romeo sabato scorso non ha partecipato alla kermesse romana di Id ed è da tempo in corsa per la segreteria della Lega Lombarda (a ottobre c'era un'intesa sul suo nome, ma il congresso fu rinviato e oggi è ancora deciso a giocarsi la partita). Tra una pasta al pesto, un salmone al forno e un flan di verdure, il capogruppo non ha fatto mistero di auspicare un assestamento della linea del partito in Europa, correzione di rotta di cui a suo avviso dovrebbe farsi portatore proprio Zaia.
«Luca sbaglia a non volersi candidare alle Europee, perché anche Matteo ha costruito tutto il suo percorso iniziando da Bruxelles. E da lì dice Romeo ai suoi commensali Zaia potrebbe proporsi come ponte fra la Lega e il Ppe e poi costruire quello che verrà».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.