Sanzioni contro droni e missili dell'Iran

Fonti Usa: risposta a Teheran dopo la Pasqua ebraica. Onu, veto di Washington alla Palestina

Sanzioni contro droni e missili dell'Iran
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Joe Biden decide di lanciare subito un segnale all'Iran e annuncia nuove sanzioni in risposta a quello che il presidente americano definisce «uno dei più grandi attacchi di missili e droni che il mondo abbia mai visto contro Israele». Gli Stati Uniti, con la Gran Bretagna - e l'Ue che annuncia le stesse intenzioni da Bruxelles - hanno deciso di colpire con nuove misure i leader e le entità collegate al corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, braccio armato dell'ideologia della Repubblica islamica, e di sanzionare anche il ministero della Difesa iraniano e soprattutto il programma missilistico e di droni che ha permesso l'«attacco sfacciato» di Teheran, come lo chiama Biden. «Insieme ai nostri alleati e partner, gli Stati Uniti hanno difeso Israele. Abbiamo contribuito a fermare questo attacco» ha aggiunto il capo della Casa Bianca. E oggi è l'ora di fare altro. Washington ha preso di mira 16 persone e due entità iraniane che producono i motori dei droni usati il 13 aprile. Anche Londra ha puntato su diverse organizzazioni militari, entità e individui coinvolti nella macchina da guerra iraniana. E da Bruxelles anche il Consiglio europeo decide sanzioni contro l'Iran, per indebolirne l'industria bellica, mentre Biden invita gli alleati del G7 a seguire le sue orme, dicendosi impegnato per la sicurezza dello Stato ebraico e Israele lo ringrazia per il suo «impegno ferreo», esortando di nuovo al «fronte globale» contro Teheran.

La Repubblica islamica continua a impensierire. «Abbiamo il dito sul grilletto», insiste il responsabile dell'unità di sicurezza nucleare delle Guardie della rivoluzione, Ahmad Haghtalab. Teheran potrebbe «rivedere la sua dottrina e politica nucleare». L'avvertimento è per dissuadere Netanyahu da un'azione contro i centri nucleari iraniani. Se lo Stato ebraico li punterà, «il colpo che riceverà sarà ricordato nella storia», promette il comandante, spiegando che l'Iran farebbe lo stesso per ritorsione.

In attesa dell'attacco annunciato, ma a sorpresa, contro l'Iran o i suoi alleati, Israele continua a concentrarsi anche sui piani militari per Rafah, la città nel sud della Striscia di Gaza, al confine con l'Egitto, che una volta espugnata, completerebbe l'opera di «sradicamento» di Hamas. Secondo indiscrezioni, l'operazione potrebbe cominciare dopo la Pasqua ebraica, che si apre il 22 aprile e si chiude il 30. Un incontro virtuale, tra una delegazione americana guidata dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa Jake Sullivan e una delegazione israeliana, si è tenuto ieri per discutere dell'operazione, che preoccupa gli Stati Uniti per via della necessità di evacuare oltre un milione e mezzo di palestinesi, molti dei quali già sfollati. Washington starebbe continuando a premere perché Israele eviti l'operazione e starebbe proponendo delle alternative. Ma l'amministrazione Biden si è anche premurata di smentire le indiscrezioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero accettato che Israele attacchi Rafah, in cambio di un impegno del governo Netanyahu a non rispondere su larga scala all'Iran, per evitare un allargamento del conflitto, lo scenario più preoccupante. Se è vero che gli Usa vogliono evitare a tutti i costi l'escalation, Washington precisa di essere «ancora preoccupata» dai piani di invasione di Rafah. Pur essendo sempre dalla parte di Israele.

In nottata, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha bocciato una risoluzione per la piena adesione di uno Stato palestinese, che oggi ha lo status di Stato osservatore, non membro.

«Sarebbe un pilastro importante per la pace», ha spiegato il rappresentante palestinese Ziad Abi Amr. Ma Biden, che pure vuole una soluzione a due Stati, ha annunciato il veto. Chiede che siano le due parti a doversi accordare e non intende indispettire Israele.

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