Il limite di chi arriva da Torino, Precollina e ansia di posterità, è quello di voler vincere, con una volontà di riscatto che è l'eredità dello spirito atavico della Resistenza, il tratto tipico dei piemontesi, gente dal carattere chiuso e riservato, o altezzoso e antipatico, «gente sfumata» diceva Beppe Fenoglio, «spesso destinata ai titoli di coda». Che poi è il motivo per cui Marco Travaglio, torinese doc e giornalista pop, è tutta la vita che ambisce ai titoli di prima pagina. Ci è riuscito.
Prima pagina e Ultima spiaggia, Marco Travaglio precisetto e pittimista, memoria di ferro e faccia di bronzo da sabaudo, devoto cattolico e liberal-enaudiano, è un vero uomo di destra (mai votato Pd, Ds o Pd). Che solo inopinatamente nel corso della sua invidiabile carriera ha scritto a lungo per giornali di sinistra: Repubblica, l'Unità, L'Espresso e il Fatto quotidiano. Del resto, amante dei treni, è noto che Travaglio ha sempre usato i giornali come taxi. Di lui Indro Montanelli, altro uomo usato come un taxi dalla Sinistra, disse: «È il vero giornalista di destra, tant'è che nemmeno a me, quando lasciai il Giornale, venne in mente di chiamare il nuovo quotidiano La Voce. Ricominciamo da Prezzolini!, mi disse. E così fu».
E così - eterogenesi dei fini e molto amico di Massimo Fini - Travaglio è diventato esattamente tutto ciò che non ci si sarebbe aspettato da lui. Capopopolo del più bel populismo, divorato dal protagonismo, divo da avanspettacolo, giacobino - Liberté, Égalité, bonèt - e star mediatica.
Primadonna, due visioni del giornalismo («O ho ragione io, o hai torto tu»), tricoteuse, quattro pezzi al giorno tra corsivi, editoriali, interviste e istruttorie, Cinque stelle, «Sei bravissimo Marco!», La7 e Otto e mezzo, Travaglio ha 57 anni. Ma fatto più cose di Prezzolini che è morto a cento. Chapeau! Che in piemontese si dice «Esageruma nen!».
Direttore presenzialista - l'unico nella storia della repubblica che può disporre di un quotidiano e di una striscia giornaliera in prima serata - demagogo narcisista, penna brillante le famose penne alla crema di tartufo giornalista factotum (fondi, commenti, inchieste, didascalie, sommari, una spiccata attitudine per i titoli, un debole per i catenacci e una passione per le manette) e vero one man show dell'Infotainment, Marco Travaglio infaticabile come un mulo e suscettibile come un istrice è un campione in tutto. Fedele all'insegnamento del suo maestro Indro Montanelli «Sono solo un giornalista» Travaglio scrive e dirige quotidiani, periodici e riviste; è collaboratore e/o ospite fisso in tutti i talk show dall'Annozero a oggi; ha fondato blog; è comparso in film e documentari; ha portato in scena innumerevoli spettacoli teatrali (alcuni persino senza Isabella Ferrari); ha collaborato con un paio di band musicali e ora sarà anche conduttore tv! («Marco Travaglio e Selvaggia Lucarelli presentano #CartaCantaIlQuiz - il primo game-show con domande di attualità in onda sul NOVE!»). Oltre a essere un fenomeno social. A volte #marcotravaglio è addirittura trend topic. E non sempre è un bene. «Travaglio leccac**o!», «Travaglio pupazzetto di Grillo», «Travaglio e il falso quotidiano», «Travaglio e il fango quotidiano»... Cose così. È la stampa, bellezza.
Bello, Travaglio non è bello. Per carità. Ma come diceva Jerry Calà col quale gli capita di passare qualche serata allo Smaila's, locale di lusso&lussuria a Porto Rotondo, che non è la Scuola di giornalismo della Columbia University, ma i torinesi non si formalizzano «Piaccio!». Non a caso le veline più belle del giornalismo, da Isabella Borromeo alla Gentili, da Silvia Truzzi alla Lucarelli, arrivano al Fatto come mosche sul Bicerin. Meglio di Vanity Fair.
Televisivamente vanitoso «Mi metta un po' più di trucco qui sul mento... sa, in medium stat virtus» - presuntuoso («Io sono io, e voi non siete un Fatto»), bilioso (sono sopporta i Fazio, i Sofri e i Saviano), ha solo una fastidiosa inclinazione a storpiare i nomi, oltre i fatti e la logica: «Travaglio», lett. «sofferenza interiore», «angoscia»: «l'attesa fu un travaglio continuo»; ma anche «travaglio di stomaco», «dare travaglio», cioè dolore fisico, come quando si leggono i suoi articoli; «essere travagliato dai rimorsi», ma soprattutto: «la crisi che travaglia la politica»; in senso figurato: «ho travagliato a fargli capire queste cose»; «un articolo che ha avuto una gestazione alquanto travagliata»; per estens.: «Porto Valtravaglia», «tra un vaglia e l'altro» e il celebre «vaglio dell'asino». Il suo.
La verità è che vorremmo vivere in loop la sera del 10 gennaio 2012, epica puntata di Servizio Pubblico, quando - momento consegnato alla storia - Silvio pulì la sedia di Travaglio, lasciandolo, per una volta, senza parole.
Parole che Travaglio adora: «sentenza di condanna», trattativa Stato-mafia, «attrici», Michele Santoro, «Vaffanculo», Juventus (prima di Calciopoli), «Inquisizione», Bagna Cauda, l'espressione «Ci pisciano addosso e ci dicono che piove», Pippo Ciuro. Parole che Travaglio non sopporta: «falso in bilancio», «banane (repubblica delle)», Filippo Facci, Juventus (dopo Calciopoli), Craxi, craxismo, le persone craxe, tutte le parole che iniziano con B. e finiscono con -usconi, l'espressione «Ho sbagliato».
Per il resto, siamo sopravvissuti alle influencer che parlano in corsivo, ce la faremo anche con la voce di Travaglio.
A detta di tutti intelligente ma tendenzialmente cattivo, enfant prodige del giornalismo finito a fare il badante della Gruber, odiatore di Berlusconi ma ospite fisso chez Cairo, vanesio nonostante le giacchette in cotone délavé, Travaglio ne ha indovinata una gigantesca il Fatto quotidiano, a suo modo un modello giornalistico ne ha sbagliate tante (una: prendersela con Berlusconi-Previti-Dell'Utri e ritrovarsi con Grillo-Conte-Casalino), e le ha provate tutte. Montanelliano quando Montanelli schierava il Giornale sulla linea più conservatrice, vociano fino a che La Voce chiude, firma della Padania con lo pseudonimo Caladrino durante la stagione secessionista della Lega (e voto per Bossi), republicones sotto il miglior Scalfari, fan di Antonio Di Pietro ed elettore di IdV, estimatore per una stagione, quella giusta, di Gianfranco Fini, simpatizzante dei Girotondi, agit-prop del Popolo viola e De Magistris, supporter di Ingroia e del Partito della Rivoluzione civile, braccio giornalistico del grillismo e consigliori di Giuseppe Conte, e ora è anche amicissimo di Giorgia Meloni: peccato, perché - è la Storia- tutti i politici che ha sponsorizzato non hanno fatto una bella fine. Poi, oltre la Storia, c'è la Némesi, che a volte sa essere ironica. Torinese in prima edizione, romano in ribattuta, Travaglio alla sera, dopo la chiusura del giornale e le varie&eventuali apparizioni tv, di solito va alla Barchetta, trattoria in Prati, luogo simbolo del craxismo, aperto da Paola Sturchio, a casa della quale Craxi dormì la sua ultima notte italiana, maggio 1994, prima di Hammamet. È qui che lo raggiungono gli amici, i servi sciocchi e tutto un codazzo di ragazze, dedicandosi all'amato karaoke (amico di Renato Zero e Franco Battiato, canta benissimo). È in una di queste serate che tra una canzone e l'altra Piero Chiambretti riceve un sms falso che annuncia la morte di Berlusconi. La musica si ferma, cala il gelo. «Non puoi immaginare la reazione di Travaglio: era disperato riferì l'ostessa - Del resto si sa che Berlusconi ha fatto la fortuna sua e del suo giornale».
A riprova che a volte dobbiamo più cose ai nemici che agli amici. E bisogna ricordarselo. Sennò rischi di rimanere solo come un cane; anche se da guardia della democrazia.Vabbè, s'è fatto tardi. «Fuma ch'anduma, Marco?».
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