La regina Vittoria non avrebbe immaginato. Risulta agli atti che sua maestà sia la trisnonna di Amedeo. Non un semplice Amedeo ma assieme al primo nome anche Umberto, Giorgio, Paolo Costantino, Elena, Fiorenzo, Maria e Zvonimir, principe della Cisterna e di Belriguardo, marchese di Voghera e conte di Ponderano, cugino di Juan Carlos di Spagna e del principe Carlo d'Inghilterra, cugino di ottavo grado di Elisabetta II, mi fermo: in breve Amedeo di Savoia-Aosta, obbligatorio il doppio cognome e va chiarito, Savoia è il cognome, Aosta è il titolo, per evitare dissidi e contenziosi, già avvenuti, con il ramo famigliare di Vittorio Emanuele, il quale gli ha fatto causa, invitandolo a cancellare l'appartenenza, perché il re è lui, l'erede al trono, inesistente, non può, non deve avere altra identità, arrivando così a volgari provocazioni, una scazzottata a Madrid, in occasione del matrimonio di Felipe o quella roba di nomare i maiali con l'appellativo Aosta, dalla corte al cortile.
Il duca è mancato ieri a seguito di un intervento chirurgico, i suoi settantasette anni erano portati non soltanto con la dignità del casato ma con una esistenza viva, non tutta nobiliare per come si intendono certi protocolli e riti di corte. Per esempio i sedici tatuaggi che gli timbravano il corpo, draghi, farfalle, fiocchi di neve, segni distintivi che gli valsero un titolo imprevisto, presidente dei tatuatori e una serie di improbabili fotografie che mostrano il duca accerchiato da forzuti con piercing, non proprio un quadro da palazzo reale. Si segnalano partecipazioni alle riunioni dei no global, uno spirito ecologista per l'energia rinnovabile, Amedeo aveva presentato domanda ai naviganti di Greenpeace perché potesse entrare a far parte di un equipaggio, lui le aveva provate tutte, per terra, mare e cielo, andando a sbattere in volo, contro i fili della corrente, mettendo al buio il paese ma soprattutto finendo in sedia a rotelle per tre mesi; eppoi quasi una mania per piante ed erbe non soltanto ornamentali ma tutto questo fa parte dell'antologia leggera. Vivere da monarca nel paese natio però repubblicano, può anche essere una cosa bella, infine si era riservato una casa colonica dopo aver dormito, da bimbo, in uno dei cento letti del Quirinale e avere visto ronzare attorno militari e politici ma anche i tedeschi nazisti che lo portarono, lui infante con biberon, nel campo di internamento di Hirschegg, in territorio di Graz, assieme a sua madre Irene di Grecia e alle cugine Margherita e Maria Cristina e in quello stesso campo finirono il generale Giorgio Carlo Calvi di Bergolo, genero del re Vittorio e Francesco Saverio Nitti. Dopo meno di un anno, con la liberazione del campo, il gruppo nobiliare trovò rifugio in Svizzera per poi rientrare in Italia, Milano, Napoli, Roma, Firenze la collina di Fiesole.
Amedeo, al tempo, era stato nominato duca delle Puglie, nelle sue memorie ha voluto ricordare il fatto che la madre, subito dopo il parto, temendo che venisse rapito, chiese al questore di Firenze, di prendere le impronte digitali del neonato. Inizio vivace, dunque, come sarebbe stata la sua esistenza, non certamente allegra con quei parenti serpenti che, dall'esilio, contrastarono a prescindere il famigliare che aveva conservato domicilio nell'Italia repubblicana, nella tenuta del Borro, terra di Toscana. Eppure Vittorio Emanuele, nelle parole di repertorio con le quali ha commemorato la scomparsa di Amedeo, si è lasciato andare alle nostalgie di infanzia e adolescenza, non si sa bene come, quando, perché.
Il duca non si considerava di destra, sostenendo che una monarchia può pensare e agire con idee e scelte di sinistra, di certo non ha vissuto da presunto re e non ha cercato sudditi, ha avuto tre figli, Bianca, Aimone e Mafalda, dalla moglie Claudia d'Orleans e una quarta da una relazione esterna con la regista olandese Kyara van Ellinkhuizen. Divorziato da Claudia, il duca si risposò con Silvia Paternò Ventimiglia di Spedalotto, medaglia al merito della Croce Rossa per le opere di soccorso tra i feriti in Irak e tra i terremotati di Larino. I rapporti con il cugino Vittorio Emanuele sono rimasti impersonali, ordinari, per non scrivere inesistenti, troppe le questioni da condominio di periferia, troppe le accuse e i comportamenti bizzarri, grotteschi, festivalieri, da reality-royal-show che, come disse per l'appunto il duca Amedeo, «hanno reso la nostra famiglia un cattivo esempio per il resto del Paese».
Presumo che alla corte dei Windsor, Amedeo di Savoia-Aosta verrà sicuramente commemorato come si deve a un parente seppur lontano, non sono sicuro che lo stesso possa accadere tra le nostra mura là dove i patrimoni immobiliari e i gioielli della
famiglia reale sono passati nei possessi delle istituzioni repubblicane e quel passato provoca fastidi e reazioni rabbiose. Il tempo ha cancellato altri orrori e violenze più recenti ma non vuole affatto rivedere quella memoria.
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