I dati, a prima vista, sono terribili. Gli oltre 101mila sbarchi dall'inizio dell'anno a ieri sono un dato che ci riporta all'«annus horribilis» del 2016 quando si toccò la punta storica di oltre 180mila arrivi. Detto questo bisogna guardare dietro le quinte. E non solo delle statistiche, ma anche della politica e dell'intelligence. Partiamo dalla Tunisia. Quattro mesi fa le partenze dalle sue coste sembravano inarrestabili. Eppure la notte tra il 14 e il 15 agosto le forze della Guardia Nazionale Marittima di Tunisi hanno bloccato 18 tentativi di migrazione e recuperato 630 migranti irregolari tra cui 550 dell'Africa subsahariana e 80 tunisini. Un'operazione che ha consentito l'arresto di 20 organizzatori e il sequestro di una cinquantina di natanti. Cifre e attività in piena sintonia con le statistiche che attribuiscono alla Guardia Nazionale Marittima di Tunisi il fermo di quasi 40mila migranti nel corso del 2023. Queste cifre - confrontate con gli appena 14mila 771 fermi di tutto il 2022 - sono il sintomo di un radicale cambio d'atteggiamento sia nel campo della politica che in quello della sicurezza. Un'autentica rivoluzione capace di garantire nel medio periodo un concreto ridimensionamento delle partenze. Per capirlo basta analizzare i dati che registrano gli incrementi delle partenze rispetto all'anno scorso. Quattro mesi fa il nostro governo faceva i conti con una tendenza sconvolgente. I 24mila 384 arrivi dalla Tunisia registrati il primo maggio segnalavano un'impennata del 1008% rispetto ai 2mila201 arrivi dello stesso periodo del 2022. Oggi l'andamento è decisamente migliorato. L'impennata, seppur sempre preoccupante, si è bloccata al 394% con poco più di 65mila584 arrivi rispetto ai 13mila 282 del 2022. Un ridimensionamento sensibile in termini di tendenza che non va attribuito al caso. Anche perché gli ultimi quattro mesi sono scanditi dagli accordi del 16 luglio tra Tunisi e Unione Europea mediati da Giorgia Meloni e dall'arrivo del presidente Kais Saied a Roma nell'ambito della Conferenza Internazionale su Sviluppo e Migrazioni del 23 luglio. Dietro questa dimensione essenzialmente politica si nasconde un'attività d'intelligence non meno significativa. Un'attività che ricorda quella precedente gli accordi tra il governo Berlusconi e Gheddafi del 2009 o quelli del 2017 con la Libia del governo di Fayez Serraj gestiti allora dal ministro degli Interni Marco Minniti. Per comprendere questa dimensione bisogna ricordare che l'attività di «mafie» capaci di accumulare denaro con la tratta di uomini e ricattare il potere centrale rappresenta un problema anche per i sistemi dittatoriali e autoritari. Lo era per la Libia di Gheddafi e di Serraj tra il 2009 e il 2017 come lo è per Kais Saied nel 2023. Dunque per arrestare i flussi migratori bisogna innanzitutto collaborare con i governi dei paesi di partenza aiutandoli a contrastare i gruppi criminali capaci di diventare potenti e pericolosi grazie a quei traffici. E questo si ottiene garantendo non solo addestramento, mezzi (motovedette) e aiuti finanziari, ma anche investimenti di più ampio respiro mirati allo sviluppo e alla collaborazione in chiave geo-politica. Questa strategia è esattamente quella seguita dal governo Meloni sul fronte tunisino. Dietro le intese siglate con l'Europa grazie alla mediazione della Presidente del Consiglio si è sviluppata un'intensa collaborazione d'intelligence capace di garantire il rafforzamento del governo di Kais Saied. Il successo di questo approccio è dimostrato dal repentino cambio di passo tunisino. In passato l'esecutivo del Presidente Kais Saied puntava a garantirsi il consenso interno sbarazzandosi dei migranti originari dell'Africa sub sahariana. E per riuscirci non esitava a chiudere gli occhi sulle partenze dirette verso l'Italia. Negli ultimi mesi, invece, fa esattamente l'opposto incrementando le attività della Guardia Nazionale Marittima e moltiplicando il blocco dei migranti sub sahariani in partenza per l'Italia.
E a questo collaborano anche le nostre forze di sicurezza protagoniste nelle ultime settimane - grazie al coordinamento della Procura di Agrigento - di alcune inedite attività anti-pirateria rivolte a bloccare le navi madre dei trafficanti tunisini. Insomma da qui a qualche mese potremmo assistere non ad un vero «blocco navale», ma ad un concreto ridimensionamento delle partenze imposto dalle forze di sicurezza tunisine con l'appoggio «esterno» di quelle italiane
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