Sì allo scambio di prigionieri sull'asse Washington-Mosca, ma a riflettori rigorosamente spenti. Lo ha lasciato intendere il portavoce della presidenza russa, Dmitry Peskov, a proposito della trattativa in corso tra il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov e il suo omologo americano Anthony Blinken. La Russia infatti, come ammesso da Lavrov, è pronta a ragionare con gli Usa sullo scambio di prigionieri che coinvolga la cestista Brittney Griner «attraverso un canale di comunicazione a livello presidenziale». Di contro gli Stati Uniti «perseguiranno» l'offerta fatta dalla Russia come confermato dal segretario di Stato americano a margine dell'East Asia Summit in Cambogia.
La star del basket è stata condannata in Russia a nove anni di reclusione per possesso di droga dopo che le era stato trovato nel bagaglio dell'olio di cannabis. «Non mettete fine alla mia vita», erano state le sue parole ai giudici: Griner è rientrata al centro di detenzione dove è stata trattenuta durante il suo processo durato una settimana, mentre i suoi avvocati Alexander Boykov e Maria Blagovolina, dello studio legale «Rybalkin-Gortsunyan-Dyakin», annunciano l'appello. Nel corso del procedimento la cestista si è dichiarata colpevole di aver portato meno di un grammo di olio di cannabis nel suo bagaglio mentre viaggiava attraverso un aeroporto di Mosca il 17 febbraio e ha ammesso in tribunale di essere a conoscenza delle rigide leggi russe sulla droga, ma la cannabis le era stata prescritta per motivi medici. Secondo il presidente americano Joe Biden la sentenza è «inaccettabile» e ha chiesto che la giocatrice venga rispedita negli Stati Uniti quanto prima.
L'episodio, però, va oltre la mera questione giudiziaria e si intreccia pericolosamente con la guerra in Ucraina e con gli equilibri geopolitici connessi, dal momento che tocca i nervi scoperti relativi allo scambio di prigionieri: Washington potrebbe chiedere oltre al rilascio di Griner anche di un altro cittadino Usa detenuto in Russia dal 2018, l'ex marine americano Paul Whelan, con l'accusa di spionaggio.
Infatti, dopo la sentenza, il coordinatore del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby ha dichiarato che spetta «alla parte russa» decidere se la condanna aprirà le porte ai negoziati per lo scambio di prigionieri oppure no.
Tutto bene dunque? Non proprio, perché qualcuno al Cremlino non gradisce che il dialogo tra i due super players sia alla luce del sole: «Se iniziamo a discutere attraverso i media di alcune sfumature relative agli scambi - ha dichiarato Peskov - allora questi scambi non avranno mai luogo. Gli americani hanno già commesso questo errore, hanno deciso improvvisamente di risolvere questi problemi con il metodo della diplomazia del megafono. Non è il modo giusto di affrontare questa questione. Non faremo alcun commento».
In attesa di capire il destino della cestista, qualche certezza arriva dal nome di Alexander Vinnik, noto come Mr. Bitcoin, 43enne russo ricercato per reati finanziari, estradato due giorni fa dalla Francia alla Grecia e da qui imbarcato su un aereo con destinazione San Francisco, dove rischia fino a 50 anni di carcere.
Si tratta di uno specialista informatico, arrestato in Grecia nel luglio del 2017 su richiesta degli Stati Uniti: lo accusavano di riciclaggio tramite una criptovaluta, la BTC-e, ormai non più in vigore.
Tre anni fa l'allora ministro greco della Giustizia ne decise l'estradizione in Francia, poi in Usa e infine in Russia. Ma dopo una condanna ricevuta nel 2020 in Francia, è stato estradato in Grecia. È uno dei sette russi detenuti o incriminati in tutto il mondo nel 2018 con l'accusa di criminalità informatica.
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