«Non sappiamo niente. Io e i miei fedeli siamo chiusi in Chiesa e non capiamo cosa succeda. Da questa mattina tutta la città è sotto il controllo delle milizie jihadiste. Uscire e vedere quel che succede è impossibile perché hanno dichiarato il coprifuoco. Da qui si sente qualche sparo, ma stando a quanto mi raccontano i fedeli arrivati nelle ultime ore non ci sono stati spargimenti di sangue. Sembra che per adesso i civili non vengano toccati. Però non abbiamo la minima idea di cosa ci potrà succedere nei prossimi giorni. Viviamo nella totale incertezza. Vi chiedo solo di pregare per noi».
La voce di Monsignor Joseph Tobji, vescovo maronita di Aleppo, risuona incerta e confusa, mescolata a tratti alle preghiere dei tanti cristiani accalcati tra le navate della cattedrale di Sant'Elia. La chiesa, situata nel cuore di Aleppo, anche negli anni più duri della guerra civile non era mai caduta nelle mani dei ribelli. Persino nel 2012, quando le forze anti Assad sembravano a un passo dalla vittoria, le prime linee si fermavano alla soglia della Città Vecchia qualche centinaio di metri dietro la Cattedrale. Tra venerdì e ieri mattina è invece successo l'incredibile. In poche ore l'intera Aleppo, la più antica città di Siria, si è ritrovata nelle mani dei gruppi jihadisti.
Una débacle favorita dalla massiccia defezione di alcuni reparti dell'esercito di Bashar Assad che senza più il sostegno garantito in passato da Hezbollah, pasdaran iraniani e mercenari russi della Wagner, hanno scelto di ritirarsi senza combattere. Un ripiegamento favorito, si dice, dagli ingenti compensi in denaro garantiti dai ribelli in cambio dell'abbandono delle posizioni.
Insomma un disastro totale che però deve preoccupare non solo i cristiani e gli abitanti di Aleppo, ma anche le autorità europee. L'improvviso e tragico ritorno al passato del nord-ovest siriano riguarda anche noi. Nonostante i cosmetici cambi di nome Hayat Tahrir Al Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante) resta l'erede di Al Nusra, la formazione satellite di Al Qaida che tra il 2012 e il 2016 contendeva allo Stato Islamico il controllo del settentrione della Siria.
E con la sconfitta dello Stato Islamico le cose non sono certo migliorate. Molti dei combattenti dell'Isis dopo la morte del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi e la caduta di Mosul e Raqqa (le capitali dello stato islamico in Siria e Iraq) sono confluiti proprio tra le fila di Ayat Tahrir al Sham. Del resto basta ascoltare gli Allah Akbar e i video diffusi dai gruppi entrati ad Aleppo nelle ultime quarantott'ore ore per capire che non molta acqua è passata sotto i ponti.
Anzi la situazione è persino peggiorata. Le unità jihadiste confluite in città appaiono, infatti, perfettamente equipaggiate e addestrate. Un'evoluzione conseguita in parte grazie agli aiuti della Turchia di Recep Tayyip Erdogan, grande madrina del jihadismo siriano, e in parte grazie all'esperienza conseguita dai gruppi uzbechi, tagiki e ceceni che in questi anni si sono uniti all'esercito ucraino per combattere la Russia.
La caduta di Aleppo ci ha insomma riportati di colpo agli anni bui vissuti tra il 2012 e il 2016. Anni in cui dal nord della Siria partivano i video degli ostaggi sgozzati senza pietà. E, assieme a quelle immagini raccapriccianti, anche gli ordini e le istruzioni dirette alle cellule terroriste e ai lupi solitari chiamati a colpire le capitali europee. A Raqqa venne pianificato organizzato l'attacco messo a segno il 13 novembre 2015 dalla cellula dell'Isis che colpì il teatro del Bataclan e altri obbiettivi parigini causando la morte di 130 persone.
E da Raqqa partirono, negli anni seguenti, le direttive che innescarono i numerosi e svariati massacri messi a segno dai «lupi solitari» dell'Isis in tutta Europa. Ora quel passato è tornato. E tra breve, complici anche i flussi migratori innescati dal disastro di Aleppo, sarà di nuovo in mezzo a noi.
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