«I l centrosinistra non esiste più». Lo ha certificato l'assemblea lombarda di Liberi e Uguali, che ieri ha ufficialmente deciso la corsa autonoma alle Regionali del 4 marzo. Bando alle ipotesi, alle pressioni, alle aperture e alle offerte di dialogo. Il certificato di morte dell'alleanza costruita intorno al Pd è stata un'assemblea piena di vita politica, convocata nel salone di una storica cooperativa di Cinisello Balsamo, ultima roccaforte rossa dell'hinterland operaio di Milano.
Tanti militanti, bandiere attaccate con lo scotch, qualche problema col microfono. Davanti al capogruppo alla Camera di Leu Francesco Laforgia e al segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni c'era la base vera della sinistra, coi capannelli al bar e le discussioni animate fino all'ultimo sulle scelta. Scelta sofferta da prendere. Ma il dado ormai è tratto: Liberi e Uguali in Lombardia correrà con il suo candidato: l'ex presidente regionale del Pd, il segretario della Camera del Lavoro Onorio Rosati. La sua «biografia» è la migliore, assicura Laforgia. E quando fa il suo nome come candidato arriva l'applauso più lungo e convinto dell'intera serata. «Non si sottrarrà alla sfida». Standing ovation. Tutti in piedi e in alto i telefonini per le fotografie. Investitura per acclamazione, dunque. Margini per un ripensamento all'assemblea nazionale? Nessuno, secondo i lombardi. «È il risultato di un percorso democratico - spiega tranquillo Rosati - Come si possa intervenire nazionalmente, inibendo questo percorso e il suo esito, francamente mi risulta incomprensibile». Rosati comunque nega pressioni. «Telefonate da Roma per dire: bloccate tutto perché stiamo facendo accordi io non ne ho mai ricevute - rivela - mi hanno chiesto solo di spostare di due giorni l'assemblea, perché vorremmo esserci anche noi». E qualcuno a Cinisello dice: «Se Roma dovesse smentirci, qui si sfascia tutto».
L'election day è stata la pietra tombale sull'accordo col Pd. «Quel giorno si voterà anche alle politiche e tutti sanno che il centrodestra vincerà in tutti i collegi - prevede Rosati - dai sondaggi, fermo restando un gap di riconoscibilità, non mi pare che il cambio fra Roberto Maroni e Attilio Fontana abbia prodotto un nuovo quadro politico». «Il centrosinistra non esiste più. Chi continua a evocarlo, non sa che è solo una categoria dello spirito e non della politica». Sarebbero serviti «tempo e pazienza» - si sfoga - e invece «si è cercato di imporre in modo egemone un candidato di partito». Ha l'aria di chi si imbarca in un'impresa faticosa, l'ex sindacalista. Nel suo curriculum ci sono più accordi che rotture, ma stavolta ha deciso anche lui di tirare dritto, nonostante gli appelli continui arrivati negli ultimi giorni, dallo stesso candidato Pd Giorgio Gori, da Pier Luigi Bersani e pure da un pezzo di Cgil locale a quanto pare. Un altro pezzo di Liberi e Uguali invece premeva da tempo per la corsa solitaria, per punire Renzi prima di tutto, ma anche perché il Pd lombardo non ha fatto niente per impedire il divorzio, a partire dal «prendere o lasciare» delle primarie mai celebrate. Gori ora è preoccupato ma i suoi primi passi hanno allargato il fossato. A partire dallo slogan, «Fare meglio». Fare meglio di Maroni vuol dire, ma suona come una specie di bestemmia per militanti che si chiamano ancora «compagni» e vogliono «fare altro», non meglio. «Un grave errore, non si deve fare meglio, si deve cambiare tutto» scandisce Fratoianni. E neanche lo spauracchio della destra, ormai, fa più effetto. «I barbari alle porte? Se chiedete a un ragazzo qua fuori, i barbari siamo noi che non ci siamo occupati di lui», avverte Laforgia, mentre senza mai nominarlo accusa il leader del Pd Matteo Renzi di aver «devastato il campo». La popolarità del segretario Pd fra questa gente è sottozero, eppure non è un soviet. Rifondazione comunista ha già un altro candidato.
A Cinisello c'erano militanti ed ex consiglieri comunali del Pd, ex socialisti, esponenti del mondo cooperativo, il cuore della pragmatica sinistra lombarda, quella dei circoli e del sindacato. Una sinistra che col Pd non vuole avere più niente a che fare.
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