Per una volta, è Pierluigi Bersani a fotografare lucidamente il problema: «Temo sia una prova generale del quarto scrutinio per il Quirinale», dice l'ex segretario Pd ora in Leu.
Già, quello che è accaduto ieri nell'aula del Senato non segna solo la netta sconfitta parlamentare del Pd, che ha improvvidamente accelerato una prova di forza sulla legge anti-omofobia che sapeva di poter facilmente perdere, ma getta anche un'ombra sinistra sulle chances della coalizione di Enrico Letta e Giuseppe Conte nella partita più complessa del 2022: il voto per il Colle.
Se ieri è stata una «prova generale», come dice Bersani, è andata molto male per il leader dem e il suo junior partner grillino: i loro gruppi parlamentari si sono dimostrati non solo poco abili nelle manovre d'aula (che pure conteranno in quel frangente) ma anche poco uniti.
Certo, ieri gran parte dei big del Pd ha additato per il disastro avvenuto un unico colpevole, il bau bau Matteo Renzi (che invece in quelle manovre ci sa fare eccome, e anche nelle trattative come dimostra il fatto che la legge sulle unioni gay riuscì a portarla a casa, a differenza di quanto accaduto sulla Zan). Ma il numero dei franchi tiratori (tra 20 e 30) va ben oltre quello dei senatori di Iv presenti (11, Renzi stesso era assente), che peraltro negano di aver votato sì al rinvio in commissione del ddl, e segnala defezioni anche da Pd e M5s. Insomma, la famosa «maggioranza Ursula» con cui il Nazareno vorrebbe provare ad eleggere il futuro presidente, ieri non si è manifestata. Anzi, c'è stata al contrario: con pezzi di centrosinistra che si sono uniti al centrodestra. «Del resto - dice un parlamentare della sinistra dem - se tieni in piedi il modello Prodi e lo schema bipolare, il risultato sarà quel simpatico proporzionalista di Casini». Ossia il candidato «trasversale» su cui, si dice, lavorano Renzi, pezzi di Pd e di centrodestra.
Di certo, l'affossamento (cercato?) del ddl Zan diventa immediatamente il pretesto per chi nel Pd vuole tagliare i ponti con renziani, centristi e «finti riformisti» (come dice appunto Goffredo Bettini), nonché ripulire le prossime liste elettorali del partito da chiunque abbia dubbi sull'abbraccio totalizzante con M5s. Il più esplicito è Francesco Boccia, che si lancia in una serie di invettive: «Renzi è come Salvini, non abbiamo più nulla da dirci. Spero si vergogni». L'accusato replica: «La responsabilità di oggi è chiara. E dire che a Pd e M5s bastava conoscere l'aritmetica, se non la politica».
Nel Pd la tensione è fortissima, quelli che da mesi avvertivano che i numeri non c'erano e che bisognava trovare un'intesa denunciano la «gestione suicida» della partita: «Una strategia fallimentare su cui occorre riflettere», dice l'ex capogruppo Marcucci. Anche Emma Bonino attacca: «Sono mancati molti voti tra Pd e 5Stelle: Letta pensasse bene a con chi si vuole alleare».
In effetti, fino a ieri mattina, gli stati maggiori dem e grillino assicuravano che tutto era a posto e i numeri c'erano, anche a voto segreto: un errore di calcolo così clamoroso da far dire ai più maligni nel Pd che fosse un risultato cercato: «Così Letta fa la parte di chi si immola per gli Lgbt ma intanto rassicura il Vaticano che non voleva la legge, e ha pronto il capro espiatorio Renzi da additare», insinua un esponente. Mentre tra i lettiani c'è chi ammette: «Si è preferito il rischio della bella morte piuttosto che impantanarsi in una trattativa che avrebbe diviso Pd e M5s. E dato ragione a Renzi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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