Il problema non è più (o non è mai stato) Raffaele Fitto, ora il problema è Ursula. I mal di pancia dei socialisti europei per lo «sbilanciamento a destra» della nuova Commissione, incarnato occasionalmente dalla vice-presidenza esecutiva al ministro di Giorgia Meloni, e per lo scontro con il Ppe spagnolo sulla candidata socialista Teresa Ribera, spingono l'intero assetto Ue sull'orlo della crisi, con addirittura la minaccia di votare contro l'intera commissione a fine novembre. E contagiano anche il Pd, che pure - nel nome dell' «interesse nazionale» richiamato da molti suoi autorevoli esponenti - aveva aperto una generosa linea di credito a Fitto. Confermata ieri durante l'audizione: «Ma come si fa a non votarlo, non perde un colpo e dà risposte perfette a tutti», confidava un europarlamentare che seguiva lo streaming dell'esame del candidato in commissione a Bruxelles. L'unico esponente dem intervenuto durante l'audizione, il campano Lello Topo, non ha lesinato elogi a Fitto: «La sua presenza nella Commissione - gli dice - sarà elemento di ricchezza» per le politiche di coesione, pezzo forte del suo portafoglio. E aggiunge poi a commento dopo l'audizione: «Per noi vale il merito, e ho apprezzato la dichiarazione del candidato commissario che ha ribadito che non rappresenterà nessun partito o governo ma l'Europa, i suoi principi e i suoi trattati». Promozione a pieni voti, insomma.
«Se la cava bene ed è difficile trovare argomenti per votargli contro», ammetteva l'ex sindaco di Firenze Dario Nardella. Ma «il tema è un altro: è l'assetto politico generale della Commissione, che con la vicepresidenza esecutiva data a Ecr si è troppo spostato a destra, rispetto alla maggioranza politica che a luglio ha votato von der Leyen». Elly Schlein stavolta si è tenuta più distante possibile dalla patata bollente europea: non vuole mettere la faccia sul «sì» all'uomo voluto da Giorgia Meloni, nè su una eventuale e pericolosa rottura degli equilibri politici Ue. Ma che il Pd schleiniano, a rimorchio di S&D, stesse virando sulla linea dura è apparso chiaro ieri quando l'ex capogruppo Brando Benifei (foto) - ormai arruolato nella falange di Elly - detta una dichiarazione bellicosa: «Fitto non può fare il vicepresidente esecutivo della Commissione europea in rappresentanza di una famiglia politica ultra-nazionalista. Ci opponiamo alla scelta di porre una forza politica europea reazionaria nel cuore del governo Ue». Parole che causano tensioni interne alla delegazione Pd, con l'ala riformista che invita alla prudenza. «Sono settimane che spiego ai colleghi socialisti francesi o tedeschi o spagnoli che Fitto è in assoluto il meglio che il governo italiano poteva proporre: è più saggio dargli luce verde che correre il rischio di un'alternativa», confidava in questi giorni Antonio Decaro ai suoi.
Si tratta con Ursula von der Leyen per ottenere una sua dichiarazione che sancisca che la maggioranza Ue non cambia. E si cerca di sbloccare già oggi il via libera ai vice-presidenti per evitare derive sempre più rischiose: «Se Ribera non passa, il Pse vota contro la Commissione e salta tutto», spiegano dal Pd.
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