Milano - Così simili e diversi, uno di fronte all'altro, separati solo dal direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, che fa da arbitro della serata di Controcorrente all'hotel Four Seasons. E alla fine Stefano Parisi e Giovanni Toti, nonostante avvio felpato e mille cautele, non possono che accendersi come fiammiferi. «No Giovanni, non sono d'accordo» è un refrain. Oppure: «Stefano, io la penso come te ma...». E via a tutta una serie di differenze visibili a occhio nudo. Se li chiami delfini, ed è capitato, ti rispondono come si fa con uno jettatore, cambiano solo i modi, toscanacci schietti o ammiccanti alla romana. Così, nonostante il fair play di entrambi («il leader esiste e se ce ne sarà un altro lo sceglierà Silvio Berlusconi»), i toni sono accesi. Parisi è oggi quel che Toti era due anni fa: lanciato in politica per vedere l'effetto che fa. Tuffo carpiato.
Vestiti uguali, mocassini stesso stile, simile cravatta, ma agli antipodi. Toti ha un braccialetto arancione di Cruciani e l'aria più godereccia dello smilzo e serio Parisi. Stesso spazio politico, centrodestra, ma che cosa significhi è da vedere. «Io non faccio parte di Forza Italia» ha detto Mister Chili, che punta ad allargare al centrodestra verso il centro ed è sospettato di voler andare persino oltre. Toti è il presidente azzurro della Regione Liguria ed è saldamente ancorato al più tradizionale dei patti di ferro con la Lega: oggi siglerà con i governatori Maroni e Zaia un'intesa per il No. Dopo queste brevissime premesse, in una sala piena e con i posti in piedi, l'interrogatorio giornalistico di Sallusti parte in quarta.
Il convitato di pietra indossa la felpa e si chiama Matteo Salvini. Toti ripete come un mantra: «Uniti si vince, divisi si perde, come hanno dimostrato le amministrative». Dice di considerare i leghisti alleati che potrebbero anche prendere la guida della coalizione, al limite, se gli elettori decidessero così. Parisi qui si ferma: «Penso che il centrodestra stia dando messaggi da partito di opposizione. Invece dobbiamo tornare forze di governo. Su immigrazione, sicurezza, globalizzazione non dobbiamo fermarci agli slogan, ma spiegare come risolvere i problemi. Se diventiamo antipolitica, allora meglio Grillo». È tutto dire.
Toti frena e punta sulle primarie: «Non sono disponibile a rompere una coalizione che funziona e che ci fa governare Lombardia e Veneto. Come tenere insieme le idee diverse? Una formula può essere quella delle primarie, magari con un voto ponderato con i 4.000 amministratori e i militanti di Forza Italia. Se prevalgono le idee di Salvini ci si adegua». E qui il mugugno della platea si fa simile a una pentola di fagioli.
Referendum? Parte Parisi: «La riforma non si fa a spallate, ma con una larga maggioranza». E la sua legge elettorale sente nostalgia di proporzionale. Toti propone un No al referendum che però è morbido sul come e quando fare la legge elettorale. Con questo Parlamento: «Nessun aiuto a Renzi. Però la legge va fatta dopo il referendum ma prima di votare, nel minor tempo possibile. L'ideale sarebbe tornare all'uninominale. Se si vuole riusciamo in tre settimane...». Magari anche subito.
Parisi teme che la situazione precipiti: «Se vince il Sì, si rischia il filotto con il voto immediato e questa legge elettorale». Oppure, azzarda Toti scherzando ma non troppo, Renzi potrebbe andare al Quirinale e diventare lui presidente della Repubblica, dopo aver tranquillizzato Mattarella con un insidioso e ormai classico: «Sergio, stai sereno».
È a questo punto che arriva la battuta forse più divertente della serata.
«Prima di essere accaniti tutti contro Parisi, ce l'avevano tutti con me» dice comprensivo Toti. Se qualcuno vuole sapere chi abbia vinto il match, sappia che è la domanda a essere sbagliata. Le scintille sono appena iniziate. Oggi tocca a Paolo Del Debbio confrontarsi con Sallusti.
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