La violenza sconvolgente che Hamas ha esercitato in stile Isis durante la sua aggressione a Israele sta facendo regredire il mondo verso un tipo di muro contro muro di cui nessuno sentiva il bisogno: quello dello «scontro di civiltà». Dunque, non soltanto la contrapposizione militare tra palestinesi e israeliani, ma l'inevitabile approdo a una divisione che nelle intenzioni di chi la alimenta è definitiva e prelude a uno scontro decisivo - tra mondi incompatibili per sistemi di valori e metodi.
Indietro, insomma, non si torna. Hamas, minacciata di sterminio totale da Netanyahu, rifiuta un corridoio umanitario verso l'Egitto per i civili di Gaza che volessero scampare alle bombe israeliane sganciate per liquidare i suoi uomini: è nella sua logica fanatica, i civili le servono come ostaggi, né più né meno di quelli israeliani e occidentali che trattiene dopo averli rapiti. La loro sorte amara deve mostrare al mondo islamico la presunta ferocia dei sionisti, motivarlo a schierarsi con la causa palestinese che pretende di rappresentare, accendere il conflitto. Nella stessa logica va il suo appello per trasformare l'odierno venerdì di preghiera in tutto il mondo musulmano in una giornata di proteste di piazza: in particolare, ha arringato dal Qatar l'ex capo di Hamas Khaled Meshaal, i popoli di Giordania, Siria, Libano ed Egitto hanno il dovere più grande di sostenere i palestinesi «perché i confini sono vicini a voi».
Meshaal non è solo. Accanto o dietro a lui c'è l'Iran, che ha ripreso prontamente il concetto. Non solo ha detto il presidente iraniano Ebrahim Raisi tutti i Paesi islamici e arabi, ma anche «i popoli che vogliono la libertà nel mondo» (ecco il richiamo allo scontro di civiltà) devono trovare un'intesa e cooperare «per fermare i crimini del regime sionista contro la nazione palestinese oppressa». Raisi ha promesso l'impegno assoluto di Teheran per costruire «il prima possibile» questa convergenza: è una chiamata alle armi (forse non solo metaforica) per alzare il livello del confronto e, in ogni caso, cercare di seppellire ogni percorso di normalizzazione tra Paesi islamici e Israele, quello saudita in primo luogo. C'è poi anche il tentativo di coinvolgere l'altra metà della Palestina la Cisgiordania guidata dall'Olp in una rivolta generale contro Israele. Lo ha esplicitato ieri la Jihad Islamica, altra milizia armata palestinese che dell'Iran è di fatto emanazione.
A questo mondo che vuole riportarci ai giorni più bui del terrorismo e dell'odio, si contrappone al fianco di Israele un fronte occidentale che ha della civiltà un'altra idea. È venuto a rappresentarlo a Tel Aviv il segretario di Stato americano, che si è trovato d'accordo con Netanyahu nel definire «il male assoluto» gli orrori commessi da Hamas sui civili israeliani: bambini massacrati davanti ai genitori e viceversa, carneficine in stile pogrom con stupri e sequestri, seguite dalla loro glorificazione, da disumani festeggiamenti. Hamas va estirpata, gli ha detto Netanyahu, e noi lo faremo senza pietà perché nessuno di loro ha avuto pietà della nostra gente.
Ed ecco, inevitabile, l'altro fronte dello scontro di civiltà. Blinken che ricorda che ciò che ci rende quel che siamo è la difesa della vita e dei diritti umani, che includono quello di difendersi, il cancelliere tedesco Scholz che assicura sostegno imperituro della Germania a Israele motivato dal debito storico dell'Olocausto nazista degli ebrei, ma che pure punta il dito contro il presidente palestinese «per il suo vergognoso silenzio» sulle stragi di Hamas.
E - forse più significativo di tutto - la notizia che tre terroristi stanno ricevendo cure in un ospedale pubblico israeliano: alla polizia è stato ordinato di impedire che siano linciati, come qualcuno ha già cercato di fare. Giusto o sbagliato che sia, anche questa è civiltà.
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