Quando si dice un'indagine mediatica. E non solo per la rilevanza di una tragedia costata la vita a 14 persone, ma soprattutto per la sovraesposizione di chi indaga e di chi è chiamato a valutare il lavoro dell'accusa. Due donne, in questo caso. Da una parte il procuratore capo di Verbania, Olimpia Bossi, che la stessa notte dell'interrogatorio del caposervizio Gabriele Tadini aveva spiegato ai giornalisti davanti alle tv che non era stata una fatalità a far cadere la funivia ma una «omissione consapevole». Dall'altra il gip Donatella Banci Buonamici che ha sconfessato il lavoro dei pm. Nella sua ordinanza ha scritto che i fermi erano stati eseguiti «al di fuori dei casi previsti dalla legge». Ma non basta che siano le carte a parlare. Sente che quel provvedimento, per molti inaspettato, va difeso pubblicamente. Lo fa con i cronisti che la intercettano fuori dal palazzo di giustizia di Verbania: «Dovete essere felici di vivere in uno Stato dove il sistema fa giustizia o è una garanzia, invece sembra che non siate felici. Dovete essere felici, l'Italia è un Paese democratico». Non esisteva il pericolo di fuga per il titolare della funivia Luigi Nerini e per il direttore Enrico Perocchio, né sussistevano gravi indizi. Lo ha scritto nell'ordinanza che li ha scarcerati, ritenendo che sui due indagati ci fossero solo suggestioni, e adesso rivendica di non aver ritenuto riscontrata la chiamata in correità, «che in fase cautelare deve essere dettagliata e questa non lo era ed era smentita da altri risultati». Un duro scontro, insomma, per la piccola procura di Verbania. «Il pm fa il suo lavoro bene e io faccio il mio credo altrettanto onestamente», dice il gip.
Ma è probabile che non sia finita qui e che la procuratrice decida di impugnare l'ordinanza del gip davanti al Tribunale del riesame per dimostrare che invece gli arresti erano necessari per evitare inquinamenti probatori o che gli indagati si accordassero sulle versioni da rendere.
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