Non basta il terremoto. Turchia e Siria hanno in comune un tragico destino che porta all'estremo le già devastanti conseguenze del sisma che ha colpito i due Paesi: essere governati da due dittatori. Spietati. Senza scrupoli. Pronti a passare sopra a un tappeto di cadaveri per il proprio tornaconto personale. Il leader turco tra passerelle, leggi speciali e repressione; addirittura con bombardamenti sui sopravvissuti nelle zone controllate dai ribelli quello siriano. Il tutto, mentre milioni di persone sono costrette a far fronte a un'emergenza epocale.
Recep Tayyip Erdogan ieri mattina ha iniziato il suo tour nelle zone colpite dal sisma. Dopo essere finito nel mirino, accusato per i ritardi nei soccorsi, prima ha fatto mea culpa e poi ciò che gli riesce meglio: usare il pugno di ferro. «Inizialmente ci sono stati problemi negli aeroporti e sulle strade, ma oggi le cose stanno diventando più facili. Abbiamo mobilitato tutte le nostre risorse», ha detto, posando in foto iconiche da libro Cuore con donne e bambini. Di contro, ha accusato quelli che ha definito «provocatori», ovvero chi ha osato criticarlo via social per le carenze nei soccorsi. La risposta è stata da manuale di regime. 28 persone sono state arrestate per aver scritto post polemici contro il governo e centinaia di account sono finiti nel mirino delle forze di polizia. Non solo. Twitter, utilizzato da molti cittadini proprio per raccontare lo stato delle cose in tempo reale ma anche per lanciare allarmi, risulta di fatto bloccato in tutta la Turchia. Il modo più semplice per silenziare ogni forma di protesta. Il Sultano però è andato oltre. Subito dopo il terremoto, ha dichiarato lo stato di emergenza per tre mesi in quasi tutto il Paese. Si tratta dello stesso provvedimento adottato dopo il golpe fasullo del 2016. In questo modo, il governo non ha bisogno dell'autorizzazione del parlamento per legiferare e nel contempo può limitare o sospendere alcuni diritti e libertà civili. Guarda caso, proprio fra tre mesi, il 14 maggio, la Turchia andrà al voto per scegliere il nuovo presidente. Non è difficile indovinare sin d'ora chi sarà.
Il caso Siria è se possibile anche più grave. Senza pietà né umanità, il regime di Damasco ha bombardato Marea, 25 km a nord di Aleppo, una delle tante città in cui si scava a mani nude cercando di salvare chi è rimasto intrappolato tra le macerie. Il marchio d'infamia di un regime che semina morte dove la morte ha già colpito duramente. Sono pochissime le notizie che arrivano anche da Idlib, nel Nord-Ovest siriano, una delle zone in mano ai ribelli anti-Assad, dove più di 3 milioni di civili sono da anni a rischio epidemie e campo profughi della Croce Rossa turca ospita gli sfollati che Ankara non vuole ricevere. Abbandonati e senza aiuti. Perché Assad vuole gestirli in prima persona per poi smistarli dove meglio crede. Quindi, non certo lì. Come conferma il post social di Zein, la figlia del dittatore, che dal dorato esilio di Londra mette in guardia tutti dal mandare aiuti a Idlib. La macchina dei soccorsi è quindi complicatissima. La Turchia ha aperto due valichi frontalieri per consentire l'ingresso di aiuti umanitari ma tutto va a rilento. Solo ieri infatti la Siria ha richiesto aiuti all'Unione Europea attraverso la protezione civile con Assad che fa appello all'Onu. Ma in molti dubitano che possano arrivare a destinazione. Damasco cercherà di sfruttare il sisma per far sospendere le sanzioni dell'Occidente dopo le repressioni contro i civili. «Le sanzioni non hanno alcun impatto sugli aiuti umanitari», dicono dalla commissione Ue. Una mano tesa la regime arriva dalla Cina che attacca frontalmente gli Stati Uniti dicendo che «dovrebbero mettere da parte l'ossessione geopolitica e revocare immediatamente le sanzioni unilaterali alla Siria».
Washington replica facendo sapere che «aiuterà la Siria e i siriani ma non Assad». Dopo l'Ucraina e i palloni-spia, un altro terreno di scontro tra le due potenze. Mentre chi vive l'emergenza è già schiacciato tra l'incudine di madre natura e il martello di due regimi sanguinari.
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