Doveva essere l'arbitro. Il garante di una partita complicata che applicava le regole del diritto sul campo della politica. Pietro Grasso sciolse i nodi della storia e i grumi della cronaca nel modo più facile: si accese come un semaforo che conosce solo un colore, il rosso. Silvio Berlusconi doveva decadere e decadde. Un pulsante da schiacciare, niente di più. Il presidente del Senato brandiva la Severino come la Bibbia dall'alto della sua poltrona, imbottita di codici e codicilli. Il resto, il contesto, la ferita che si apriva nel timbrare la norma, non contava e non contò. Pochi mesi, pochissimi, fra l'estate e l'autunno di tre anni fa, per sbrigare la pratica e togliere di mezzo il Cavaliere. Tutte le questioni sollevate, sul crinale nebbioso fra sentimento popolare e volontà del legislatore, furono respinte senza se e senza ma. Da più parti, anche da autorevoli e raffinati giuristi di sinistra, si sottolineavano le possibili forzature in atto, a cominciare dall'applicazione retroattiva della Severino. Tema divisivo e controverso, per più di un tecnico una camicia di forza inaccettabile. Ma il Senato con la bava alla bocca correva e il Grasso furioso correva ancora di più, fra le proteste e le eccezioni della minoranza di centrodestra. Una pausa, una riflessione, uno stop per valutare, soppesare, consultare: l'arbitro aveva fretta di spedire in tribuna il giocatore più pregiato degli ultimi vent'anni. Un ritmo forsennato, da marcia militare, per accelerare l'espulsione. E semaforo rosso a tutte le richieste di qualunque tipo: aprire sulla retroattività sarebbe stato un tradimento della sua purezza, così apprezzata dai duri e puri della galassia grillina. No e ancora no, persino al tentativo di procedere all'esecuzione con il voto segreto, come si usa a Palazzo Madama per vicende personali, dunque delicatissime. No pure alla pausa, invocata nelle more del rimpallo in Cassazione della pena accessoria: «Non possiamo liquidare vent'anni di storia - aveva spiegato il leader centrista Pier Ferdinando Casini - come un evento criminale».
Invece Grasso spinse fuori dal sacro perimetro il Cavaliere come un prodotto scaduto, fra gli applausi di una parte e le ire dell'altra. Nessuna sintesi, nemmeno un sussulto, solo un'applicazione formalmente corretta e notarile del compito assegnatogli.
Berlusconi fu allontanato dall'emiciclo che a lungo aveva dominato e non per via popolare.
Oggi lo stesso Grasso potrebbe bussare dalle parti di Arcore, accreditandosi come premier di garanzia, in equilibrio fra istanze e spinte diverse. Una metamorfosi spettacolare: per carità, il presente non è mai la fotocopia del passato, ma gli spartiti fin qui eseguiti hanno solo incupito il Paese senza riscattarne lo spirito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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