Se l'utero in affitto è "patriarcale"

La senatrice del Pd Valente nella lotta contro l'utero in affitto: "La forma più estrema e contemporanea di schiavitù patriarcale". Anche Massimo Fini si schiera

Se l'utero in affitto è "patriarcale"
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«Giorgia Meloni ha fatto anche cose buone», verrebbe da dire leggendo Il Fatto quotidiano e il Domani sulla vexata questio dell'utero in affitto (diventato reato universale), versione politicamente scorretta della maternità surrogata, o meglio della «gestazione per altri», espressione che tanto piace ai salotti radical chic e alle associazioni Lgbtq+. Dei bambini vittime di questo spietato mercimonio che si consuma sul corpo delle donne meglio tacere, anzi no. Lo fa coraggiosamente Massimo Fini (nella foto) sul quotidiano di Marco Travaglio. Le sue antipatie per il premier sono note, eppure il giornalista usa il suo linguaggio al vetriolo per condividere la battaglia dell'esecutivo: «Mi sembra disumano che a una donna che porta in grembo per nove mesi una creatura, con tutte le pesanti modificazioni del suo corpo che comporta la gravidanza, e dopo aver affrontato i dolori del parto, questa creatura le sia strappata per darla a una coppia infeconda finendo per commercializzare il bebè», ed è «disumana anche nei confronti del nascituro», il quale «non saprà mai chi è la sua vera madre» con inevitabili «gravi problemi di identità».

La senatrice Pd Valeria Valente rivendica il suo no «da femminista» anche «alla gravidanza solidale (una così rara eccezione da gettare dubbi sulla sua reale esistenza)» considerata «la forma più estrema e contemporanea di schiavitù patriarcale» e «l'ennesima operazione di cancellazione del

femminile e del materno» nel dibattito parallelo sui diritti Lgbtq+ nel quale la donna è diventata «persona con utero». Per usare un paradosso woke, a sinistra ci sono segnali di un risveglio sull'etica. Meglio tardi che mai.

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