Se la pressione fiscale è in crescita non significa che le tasse aumentano

Il paradosso di un rapporto condizionato anche da dinamiche positive come occupati record, più salario e lotta all'evasione

Se la pressione fiscale è in crescita non significa che le tasse aumentano
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In uno stuolo di risultati economici positivi sull'Italia, compatibilemente con la situazione generale, alcuni quotidiani si sono soffermati sull'unico dato all'apparenza negativo tra quelli recentemente forniti dall'Istat, ovvero che la pressione fiscale è aumentata al 40,5% con un incremento rispetto al 2023 di uno 0,8%. Sono quindi fioccate letture frettolose secondo le quali, in estrema sintesi, «il governo ha alzato le tasse». Un fatto che sarebbe stato giustamente da sottolineare, se solo fosse vero. Come in preda a un'amnesia collettiva, però, si è volutamente evitato di spiegare che il dato sulla pressione fiscale altro non è che un rapporto fra le entrate dello Stato (tasse dirette, indirette e contributi previdenziali) e la ricchezza prodotta in un anno nel Paese (e quindi il Pil). Perciò se - come sta avvenendo in Italia da alcuni anni - si registra un'impennata dell'occupazione (fra settembre 2022 e ottobre 2024 ci sono un milione di persone al lavoro in più) e un tasso di disoccupazione ai minimi da quasi un ventennio, allora lo Stato giocoforza incassa molti più contributi previdenziali andando a irrobustire il numeratore del rapporto. Quest'ultimo è ulteriormente alimentato dal conseguente aumento dei consumi (e quindi più Iva da incassare per lo Stato) e da un'attività di riscossione che si è fatta sempre più performante (nel 2023 è stata strappata all'evasione la cifra record di 24,7 miliardi e nel 2024 farà anche meglio). Vale inoltre la pena di ricordare che, a seguito delle fiammate inflattive degli anni post-Covid, sono già stati formalizzati, e altre intese arriveranno, i rinnovi dei contratti collettivi. Il che significa salari più alti che si traducono in un recupero del potere d'acquisto (anche questo certificato dall'Istat) e anche in questo caso in un aumento di entrate dirette e indirette per lo Stato.

A tutto ciò va aggiunto che, al denominatore, c'è una crescita del Pil che ha perso slancio nella seconda parte dell'anno: le stime del ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti (in foto), annunciano un Pil in crescita dello 0,7% per l'intero 2024, un dato positivo ma comunque inferiore all'1% del Piano strutturale di bilancio. Alla base della revisione al ribasso c'è un export italiano colpito dalle tensioni geopolitiche, il collasso del sistema produttivo tedesco e la revisione al rialzo delle serie storiche Istat 2021-2023. Ne risulta un Pil che ha tenuto, ma rallentando la sua avanzata rispetto all'aumento delle entrate fiscali sostenute dall'occupazione e dai consumi interni, generando così un incremento del dato sulla pressione fiscale che, mai come in questo periodo storico, non può essere certo sovrapposto al livello della tassazione fiscale.

Per assurdo, anche in un contesto in cui le tasse rimangono allo stesso livello o comunque se ne abbassano alcune (come è avvenuto con taglio del cuneo fiscale, Ires premiale e limatura della aliquote Irpef) il livello della pressione fiscale può aumentare.

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