Roma Perdere la faccia. Nel caso del ministro Danilo Toninelli, forse un affare. Non l'hanno ancora capito, sulle 5stelle, così che nel giorno in cui si decide il destino del Tav (o ancora no), tra musi duri e lunghi, anche le dimissioni «minacciate» dall'ex carabiniere e liquidatore assicurativo della Bresciana diventano un «caso». Sul Web, un «mistero buffo», considerata la nomea conquistata dal ministro delle Infrastrutture a colpi di gaffe. Una specie di Mr. Bean che minaccia Conte di andarsene. «Gag» che ha volto al buonumore persino l'ex tormentata ministra pidina Mariaele Boschi (che pure sul web era bersagliata non poco): «Toninelli ha detto che anche se si farà la Tav lui non si dimette. Peccato, avrebbe molto rafforzato l'analisi costi benefici», ha cinguettato su Twitter. «Niente dimissioni? Pessima notizia per il Paese e boomerang per il M5S», il controcanto della senatrice azzurra Licia Ronzulli, convinta viceversa che la persistenza del Toninelli sia «uno spot vivente a non votare M5S».
In effetti, le ricostruzioni comparse sui giornali non sono piaciute in casa grillina e il primo pensiero del vicepremier Luigi Di Maio, ieri mattina, è stato quello di smentire che la poltrona di Toninelli fosse spedita nello spazio ad altissima velocità. «Una fake news clamorosa», ha detto il capo politico dei 5Stelle. Che non deve aver consentito al traballante ministro un soffice «buongiorno», considerato che Di Maio ha la sveglia dell'allodola mentre l'altro sembra addormentato pure se lavora «dalle 16 alle 18 ore al giorno» (magari è per quello). Buttato giù dal letto, Toninelli ha dettato la sua nota: «Smentisco seccamente le fantasiose e ridicole ricostruzioni di stampa, condite con miei virgolettati totalmente inventati, in cui si sostiene che avrei ventilato o minacciato le mie dimissioni a margine dell'incontro sul progetto Tav... La discussione è rimasta sempre su un piano di costruttivo e sereno confronto tra le parti». Non abbiamo nessun dubbio che qualcuno abbia potuto dirgli «stai sereno», al vertice dell'altra sera. Parecchi che Toninelli abbia capito del tutto la battuta.
Anche perché il primo a non stare sereno è sembrato il leader leghista, Matteo Salvini, cui l'attacco portato dal nuovo segretario Zingaretti non è andato per niente giù. Il Pd infatti mantiene un persistente controllo mediatico sull'opinione pubblica, attraverso quotidiani mainstream e tv di Stato, e puntare sul fatto che il capo della Lega, oggi nazionale e non più Nord, stia «affossando» giusto il Nord perché non riesce a far partire una grande opera come il Tav - per di più per l'ostinazione di Toninelli -, si è rivelata un'ottima mossa che non aiuta l'autostima di Salvini né la sua costante vena autocelebrativa. Il capo leghista ha deciso di farla finita con i traccheggiamenti e martella l'«amico Luigi» affinché qualcosa sulla Torino-Lione si smuova. Ecco perché tutti hanno immediatamente pensato alla figura cardine di Toninelli, capro espiatorio d'antologia, la cui mozione individuale di sfiducia si voterà il giorno dopo l'autorizzazione a procedere contro Salvini per il caso Diciotti.
Non è un caso: in entrambe le eventualità ci andrebbe di mezzo l'intero governo. Eppure tra l'aula che ribalta clamorosamente il voto della giunta pro-Salvini e un improbabile voto segreto a sorpresa anti-Toninelli, una differenza ci sarebbe, e inciderebbe sul buonumore.
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