Se la trappola scatta in Veneto

Se la  trappola scatta in Veneto

L'intervista rilasciata ieri alla Repubblica da Umberto Bossi, in cui il vecchio leader della Lega ha accusato Matteo Salvini di avere dimenticato il Nord, è per tanti aspetti legata al passato. In particolare, Bossi e il suo «padanismo» sono fuori tempo massimo e non c'è alcuna possibilità che quel tipo di politica - già travolta da scandali miserevoli e dalla totale assenza di risultati - possa in qualche modo tornare attuale.

Eppure nelle parole del Senatur si nasconde un problema assai serio. Bisogna infatti chiedersi se la nuova Lega italiana che è stata inaugurata pochi mesi fa, non più settentrionale ma tricolore, sia ancora in grado di crescere. Il nuovo soggetto politico rischia in effetti di non essere abbastanza «nazionalista e di destra» se deve competere con il partito di Giorgia Meloni, e al tempo stesso non abbastanza «autonomista e federalista» se deve fronteggiare le nuove realtà regionali che stanno emergendo e che potrebbero ottenere risultati importanti.

Per giunta il prossimo banco di prova, dopo il parziale insuccesso leghista in Emilia-Romagna, sarà il Veneto, dove il Consiglio regionale verrà rinnovato a maggio. In questo caso la riconferma di Luca Zaia è fuori discussione e la battaglia sarà soltanto per la posizione di principale oppositore. A tale riguardo non è assurdo ritenere che la sinistra possa essere perfino superata da un'aggregazione di forze indipendentiste e autonomiste che si è costituita nei mesi scorsi e che punta a raccogliere la frustrazione di moltissimi veneti: delusi dal fatto che, a due anni di distanza dal referendum del 2017, il Veneto non è riuscito a ottenere alcuna autonomia.

Per questo motivo Zaia sarà certo ricollocato alla testa della Regione, ma sembra chiaro che la sua poltrona sia ormai scomoda, dato che aveva promesso un federalismo differenziato che neppure un esecutivo egemonizzato dalla Lega è riuscito a realizzare; e che a questo punto appare davvero lontano, dato che non è al centro degli interessi di Salvini.

In sostanza in Veneto più che altrove i leghisti faticano a gestire le loro identità divergenti. Non possono essere - al tempo stesso - nazionalisti italiani e federalisti, sovranisti e localisti.

E poiché tra Verona e Treviso vi è una fortissima richiesta di autogoverno, che questi anni di amministrazione leghista non hanno saputo soddisfare, non ci sarà allora da stupirsi se la disillusione di tanti si esprimerà nelle urne.

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