Il ragazzo fuma una sigaretta elettronica. Ha una felpa arancione, quella della sua azienda. Sorride, è di buon umore, non sa che sta per morire.
Lui è Kevin Laganà, 22 anni, il cucciolo della squadra di operai che stanno per essere spazzati via e fatti a pezzi dal treno di servizio Torino-Milano. È la sera del 30 agosto, il destino sta per dare le carte ma alla stazione di Brandizzo nessuno lo sa e ci si prepara in un'atmosfera rilassata a quella che appare una normalissima notte di lavoro sulla linea. Kevin registra un video che poi salverà su Instagram ma non farà in tempo a pubblicare. Il suo cellulare non c'è più, probabilmente è andato distrutto, ma un suo parente che possiede i suoi codici di accesso al social lo ha scovato e ora quei quattrocentootto secondi di immagini sporche e sghembe sono state acquisite dalla Procura di Ivrea che indaga sull'incidente in cui sono morti in cinque, Kevin, Giuseppe, Saverio, Michael e un altro Giuseppe e per il quale sono indagati Antonio Massa, 46 anni, la scorta degli operai per conto di Rfi, e Andrea Girardin Gibin, 52 anni, il capocantiere della Sigifer, l'azienda per cui lavoravano le vittime.
È sul primo che gravano le responsabilità più serie, che il video si incarica di appesantire. Nel filmato, agghiacciante nella sua semplicità, si intravede e soprattutto si sente Massa dare istruzioni raccogliticce agli operai: «Se dico treno!, spostatevi di là», con Kevin che risponde ironico: «Ho capito, scappiamo. Mi butto sulla cancellata...». È il fratello di Kevin, Antonio, anche lui dipendente della Sigifer, a riconoscere la voce di Massa in quelle parole che avvalorano il cosiddetto dolo eventuale, che scatta quando qualcuno mette in conto il rischio insito in una sua decisione. Sua e solo sua. Perché il dipendente di Rfi non aveva ricevuto l'autorizzazione all'avvio dei lavori e nel video si sente Kevin sottolinearlo, con un tono per la verità non molto allarmato: «Non abbiamo ancora l'interruzione». No, l'interruzione non c'era. L'ufficio movimento di Chivasso nel corso di alcune telefonate anch'esse acquisite dalla Procura eporediese, aveva negato il via libera che Massa sollecitava. E così aveva deciso di fare da sé, puntando tutto sulla sua capacità di accorgersi in tempo del sopraggiungere di un treno.
Una pratica che a Brandizzo è costata cinque vite ma che pare essere comune nei cantieri ferroviari. Dalle trascrizioni della deposizione di un ex operaio specializzato del Nucleo manutentivo di Rfi di Treviglio (Bergamo) nel processo milanese sul disastro ferroviario di Pioltello, dove il 25 gennaio 2018 il regionale Cremona-Milano Porta Garibaldi uscì dai binari a causa di un giunto in cattive condizioni e tre persone morirono e un centinaio rimasero ferite, c'è la spiegazione di quello che è successo anche a Brandizzo. «Io facevo la scorta - dice l'uomo nella sua deposizione del maggio scorso - quando arrivavano i treni dicevo alla squadra di uscire dal binario, guardavo i treni sia a destra che a sinistra, loro erano sul binario che intervenivano, io facevo la scorta. Se c'era il passaggio dei treni fischiavo e loro dovevano uscire fuori». Un modo per dribblare i treni senza attendere la fine del traffico sulla linea, per iniziare prima e finire prima, anche perché l'autorizzazione «non sempre ce la davano». Una roulette russa, novecentonovantanove volte va bene, poi c'è la volta che va male e qualcuno piange per sempre.
C'è anche un giallo sul filmato che ieri è stato mandato in onda nel Tg1 delle 13,30. Il video, estratto dalla memoria Instagram da Andrea Rubini - presidente della società ingaggiata dalla famiglia Laganà per il risarcimento - è stato depositato in procura da Enrico Calabrese, l'avvocato che assieme a Marco Bona segue i Laganà.
Non si sa chi lo abbia fatto avere ai media. «Le immagini sono state divulgate a nostra totale insaputa nonché all'insaputa dei Laganà», sottolineano i legali. Un altro schiaffo, un altro treno che passa a tutta velocità sul dolore di una famiglia.
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