Il caso Sea Watch è al vaglio della procura. C'è un primo iscritto nel registro degli indagati: è il comandante della nave Sea Watch 3, Carola Rackete, sul cui capo pendono i reati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave da guerra. Il suo interrogatorio da parte del procuratore aggiunto di Agrigento, Salvatore Vella, è previsto per oggi.
Ieri pomeriggio il pm ha raggiunto l'isola ed è rimasto in attesa dell'informativa della Guardia di finanza che è salita a bordo per una perquisizione con acquisizione di documenti e video su delega della procura.
«Stiamo valutando il sequestro probatorio della nave», ha detto. Il sequestro, infatti, non è automatico come si pensa, anche perché secondo il decreto sulla Sicurezza bis voluto dal Viminale, la «sanzione accessoria della confisca della nave» è prevista in caso di «reiterazione commessa con l'utilizzo della medesima nave, ovvero qualora il numero degli stranieri sbarcati è superiore a 100» e, nel caso della Sea Watch 3, è stata la prima violazione da quando è stato approvato il decreto (che e non è retroattivo), e i migranti sono stati in tutto una cinquantina.
Nel momento in cui dovesse scattare il sequestro probatorio, sarebbe automatico lo sbarco dei 40 immigrati a bordo, che, secondo il comandante Rackete, sono in una situazione di disagio tanto che teme che qualcuno possa gettarsi in mare. Due, padre e figlio, erano stati evacuati la notte precedente per motivi di salute dell'adulto. La nave, intanto, su ordine delle Fiamme gialle, si è allontanata dall'isola, raggiungendo le tre miglia da terra. Un'informativa è stata presentata dai finanzieri anche al prefetto, cui spetta l'applicazione del decreto Sicurezza bis che prevede una sanzione che va da 10mila a 50mila euro, cifra che è stata già abbondantemente coperta dalle donazioni ricevute dalla Ong in questi giorni.
«Sono certa che le corti italiane riconosceranno che la sicurezza delle persone è più importante dei confini nazionali, ha detto la Rackete a commento delle ipotesi di reato e delle altre violazioni di legge. Sin dall'inizio la Ong tedesca aveva puntato sull'Italia per lo sbarco, ritenendo «non sicuro» quello messo a disposizione dalla Libia. E adesso anche il ministro degli Esteri Moavero Milanesi lo sostiene: «Non ci sono le condizioni per definire la Libia porto sicuro».
Sulla sacralità dei confini il ministro dell'Interno Matteo Salvini sta improntando la sua guerra, volta a sancire nuove responsabilità ripartite tra i Stati membri dell'Ue e per chiarire, una volta per tutte, che l'Italia non è l'hotspot ufficiale dell'Africa. «C'è un equipaggio fuorilegge, un comandante fuorilegge che vanno fermati, arrestati, espulsi. C'è una nave che per la terza volta non rispetta le regole, le leggi e il buon senso e quindi mi aspetto multe, sequestri, arresti, blocchi, allontanamenti e l'Ue che dia cenno di esistenza in vita», ha detto.
Ma intanto, mentre fa la voce grossa perché le Ong rispettino le leggi, deve trovare una soluzione per fronteggiare il problema degli arrivi indisturbati di immigrati a bordo di barchini. Anche la giornata di ieri non ha risparmiato Lampedusa, dove sono arrivati 16 tunisini. Non appena avvistati, una motovedetta della Guardia di finanza li ha raggiunti e scortati fino a terra.
Agli sbarchi autonomi si affiancano quelli «fantasma», come quello di ieri a Capo Feto, a Mazara del Vallo. Di una ventina di migranti sbarcati, sono stati rintracciati solo tre, mentre gli altri hanno bypassato i controlli sanitari e di identificazione.
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