Quel segno sulla fronte che spiega il radicalismo

Quel segno sulla fronte che spiega il radicalismo

No, non è una macchia sulla fototessera sgranata. E no, non è un livido o un eczema. Quel segno sulla fronte di Chérif Chekatt, l'uomo che martedì sera a Strasburgo, nel mercatino di Natale della cattedrale di Nôtre-Dame, ha ucciso tre persone e ridotto in fin di vita il giovane giornalista italiano Antonio Megalizzi, ha un forte valore simbolico. Si chiama Zebiba ed è la traccia lasciata dal battere furioso della fronte sul tappeto di preghiera da parte dei ferventi musulmani. La legge islamica infatti prescrive cinque momenti in cui bisogna eseguire il salat (all'alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto e di notte), per non essere in stato di peccato. E ogni salat è costituito da una serie di movimenti rituali (i rakat) tra i quali figura il sujud, che consiste nello stare inginocchiati con le mani a terra e battendo più volte la testa sul teppeto.

A fare notare questo particolare è il giornalista Toni Capuozzo, che in un tweet che fa riferimento a un articolo del Corriere della Sera in cui quel segno viene notato senza però spiegarlo, parla del «presente, islamico e pio, di un fondamentalista».

La zebiba è un bernoccolo di tipo calloso che è una sorta di segno distintivo dei musulmani più accaniti. Che non se ne vergognano ma lo esibiscono quasi come fossero delle stimmate. E nella vulgata una persona che abbia quel callo scuro sulla fronte è considerata particolarmente degna di rispetto e stima. Ma gli investigatori occidentali che si trovano a indagare su attentati terroristici e su persone in odore di fondamentalismo sono invece ormai abituati a vedervi il segno di un fanatismo che può prendere anche direzioni pericolose.

Qualche mese fa lo stesso segno fu riscontrato sulla fronte di Alagie Touray, un gambiano arrestato davanti alla moschea di Pozzuoli, vicino a Napoli, e sospettato dall'antiterrorismo di essere stato reclutato dall'Isis per fare un attentato in Italia «lanciando un'auto contro la folla».

Cherif, ventinove anni, nato e cresciuto proprio a Strasburgo, avrebbe subito il processo di radicalizzazione nelle carceri francesi, frequentate in più occasioni per condanne seguite a reati comuni.

AnCu

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