
Un vertice convocato d'urgenza. Un'iniziativa estemporanea di Parigi, fuori dai canoni di quell'europeismo sempre rivendicato dal presidente francese. Stavolta, anziché rafforzare gli organismi «politici» dell'Ue, Macron si prende la scena invitando un gruppo ristretto di 6 Paesi all'Eliseo per avviare «consultazioni» con la Francia «sulla situazione in Ucraina e affrontare i nodi della sicurezza in Europa». La presidente della Commissione europea, Von der Leyen, conferma la presenza all'incontro «informale» solo dopo aver fatto filtrare stupore per le modalità dell'annuncio formalizzato dall'Eliseo, e soltanto in seconda battuta dalla Commissione e da un funzionario del Consiglio europeo.
Insomma, l'irritualità con cui Macron ha chiamato a raccolta Germania, Regno Unito, Italia, Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Danimarca (curiosa modalità di rappresentanza dei baltici) fa registrare più di un fastidio, tra chi, ancora ieri alla conferenza di Monaco, provava a chiudere la tre giorni impegnandosi come «governo europeo» a mettere i Paesi membri in condizione di spendere di più per la Difesa a fronte dell'elettroshock innescato da Trump, che ha profilato un disimpegno Usa dal Vecchio Continente.
L'incontro di Parigi serve a «facilitare la prosecuzione dei colloqui a Bruxelles», si affretta a chiarire l'Eliseo; è «in formato ridotto» solo «per ragioni pratiche», fa sapere un consigliere di Macron, convinto che l'Europa debba «trarre le conseguenze» da quanto detto dagli americani e «tenuto conto dell'accelerazione a cui assistiamo in Ucraina». Il ministro degli Esteri francese Barrot è costretto a ricalibrare gli annunci della vigilia per rabbonire Von der Leyen: «È solo una riunione di lavoro». L'Eliseo chiarisce infine che «i lavori potranno prolungarsi in altri formati per riunire tutti i partner interessati alla pace e alla sicurezza in Europa». Ma insomma l'atteggiamento arrembante con cui Macron esorta a «fare di più e meglio per la sicurezza collettiva» allerta l'Ue più che rassicurarla, visto che se non si è giunti a un esercito europeo è anche per certi caveat transalpini giudicati finora irricevibili, per esempio, dalla Germania.
All'Eliseo ci sarà anche Meloni, con Ursula e con il capo del Consiglio europeo Costa e il segretario generale della Nato Rutte. L'olandese, sulla Stampa, invita gli europei a combattere per essere al tavolo delle trattative. Ma chi decide? Macron? Von der Leyen? Il Consiglio europeo? Trump ha fatto tabula rasa e Macron, indebolito sulla scena interna, prova a riprendersi uno spazio «europeo» frammentando un fronte già in formato puzzle. Gli invitati hanno risposto presente. Ma è tutt'altro che ottimismo quel che circola. È imperativo non apparire pugili suonati da Vance; privi di un esercito in grado di affrontare minacce che gli sherpa Ue considerano «reali». La guerra ibrida cresce d'intensità nel Baltico e l'Europa non può piangersi addosso, tanto meno mettersi a litigare o mostrare il fianco ad altri sberleffi russi.
Per rispondere all'esclusione dal tavolo apparecchiato da Trump con Putin, per il premier britannico Starmer, sola voce extra-Ue a Parigi, l'Europa deve «svolgere un ruolo più importante all'interno della Nato per garantire il futuro dell'Ucraina».
Un'idea arriva dal presidente finlandese Stubb.
Primo mea culpa in tre anni: «Ci è mancata una personalità rispettata da tutti, presa in considerazione a Mosca e a Kiev, che potesse avere l'autorità di gestire i colloqui di pace, l'Europa ha bisogno di un inviato speciale come per il Kosovo e di un vice inviato che sia al livello di Kellogg». Invece in tre anni ha spinto sull'acceleratore delle sanzioni, sperando in un rapido indebolimento di Mosca che non c'è stato.
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