Rivoluzionare tutto, ma non le fondamenta

La vera lezione del prete Bergoglio. Con i fedeli un rapporto umano, all'insegna della "gratuità"

Rivoluzionare tutto, ma non le fondamenta
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Il primo pensiero, in apparenza banale, è che tutto è accaduto come doveva accadere, secondo un ordine perfettamente stabilito (immaginiamo la fatica enorme di coloro che l'hanno dovuto garantire, nella Roma del Giubileo). Ma proprio qui sta l'anomalia, perché questo ordine perfetto è accaduto in un mondo che è scivolato nel caos lasciandoci tutti in una specie di sgomento anestetico. Pensavamo, dopo gli orrori del '900, di non poter più tollerare certe brutture, e invece le tolleriamo, lasciandole scivolare via tra commenti, scenari geopolitici, conferenze.

Il funerale di Papa Francesco è stato il funerale di un Grande della Terra. Chissà se qualcuno tra i Grandi presenti al funerale - a cominciare da Donald Trump, il più potente - ne avrà uno simile, e se anche lo avrà quanta inutile scenografia si dovrà spendere, quante azioni senza senso, a differenza di questi riti antichi, dentro i quali vibra una storia bimillenaria fatta di uomini, di volti, di eroi, di martiri, di menti sublimi, che hanno alzato un muro non ancora abbattuto non tanto contro il caos e il male del mondo quanto contro il caos e il male interni, in una Chiesa fatta di uomini come noi, fragili, cattivi e incapaci come noi di sollevarsi alle altezze che il cuore desidera.

Due cose hanno colpito la mia immaginazione: la bara semplice, la più semplice che io abbia mai visto, una cassa si direbbe provvisoria, che non è di questa Terra; e le parole del cardinal Re, che prima di elencare le azioni compiute da questo Papa - dal viaggio a Lampedusa che aprì il suo pontificato al suo incessante, strenuo e solitario impegno per i poveri e per la pace - lo ha ricordato con le parole che accompagnano le esequie di tutti gli uomini nel loro ultimo viaggio, raccomandandolo a Dio e auspicando che sia accolto nell'assemblea dei Santi e dei Beati.

Il primo omaggio è stato per l'uomo, che si inoltra nudo nel più inesplorato dei territori, e che Dio accoglierà con il «tu» che riserverà a tutti. Non è scontato. Se ci fermassimo alle cose straordinarie che Papa Francesco ha detto e fatto, belle per qualcuno e deprecabili per altri, il nostro giudizio sarebbe misero. Ma quello che ha detto e fatto sono le parole e le azioni di un uomo come noi, con la quota di libertà, di intelligenza e di buon senso che è data a tutti noi. Questo per ricordarci che un uomo, anche un solo uomo, può fare moltissimo per i suoi simili, al di là del posto che occupa sulla scena del mondo.

Tuttavia Papa Francesco non è stato un innovatore. È stato - come diceva lui - prima di tutto un prete. Ha detto parole splendide sugli omosessuali ma non ha cambiato la posizione della Chiesa, come non ha cambiato quella su aborto o sacerdozio femminile. Si può fare la rivoluzione, si può amare, si può essere vicini a tutti senza cambiare le fondamenta: così fece Giovanni XXIII, così ha fatto lui. Questo vuol dire essere un prete.

Tante frasi di Papa Francesco, dell'uomo Jorge Mario Bergoglio, resteranno sempre nel cuore mio e di tanti. La mia preferita è «Dio non si stanca mai di perdonare», cui si lega l'altra, che definisce la Chiesa come «un ospedale da campo». Gesù chiama «amico» Giuda mentre lui lo tradisce. Nessun atto è così terribile da non poter essere perdonato, gratuitamente.

L'immensa folla che ha riempito Piazza S. Pietro, via della Conciliazione e poi i chilometri che separano S. Pietro da S. Maria Maggiore in qualche modo lo sapeva. Che cos'era tutta quella gente per Francesco? E Francesco per tutta quella gente? Poveri, stranieri, migranti, ma anche gente comune, persone come te e come me: perché erano tutti lì, a salutare Francesco nel suo ultimo viaggio? Non so cosa passasse ciascino in cuor suo, ma una cosa accomunava tutti: un sentimento, insolito, stupefatto, di gratuità.

Il rapporto del mondo con questo Papa è stato gratuito, senza dazi, condizioni,

facili promesse, ricatti, senza alcun uso della forza, senza ideologie, senza distinguo, senza quello che ci rende infelici e ansiosi. È «il potere dei senza potere» di Vaclav Havel, quello che è per tutti, quello essenziale.

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