La sentenza su Viareggio omicidi colposi prescritti. Appello bis per disastro

Annullata la condanna dell'ex ad Moretti: verrà ricelebrato il processo di secondo grado

La sentenza su Viareggio omicidi colposi prescritti. Appello bis per disastro

Undici anni: pochi, per lenire il dolore di uno stuolo di vedove e di orfani; ma troppi per un processo. Era il 29 giugno 2009 quando il treno merci 50325 impazzì e seminò la morte all'entrata di Viareggio. E ieri la Cassazione stabilisce che per quei trentadue morti bruciati il reato di omicidio colposo non esiste più, cancellato dalla prescrizione. Si farà un altro processo, solo per il reato di disastro ferroviario: sperando che si arrivi a una sentenza definitiva prima che si prescriva anch'esso. Secondo i conti dei legali delle vittime manca meno di un anno.

Che sull'inchiesta per la strage di Viareggio incombesse la tagliola della Cassazione era chiaro da tempo, e i familiari delle vittime denunciavano da tempo il rischio, e nell'ultima fase i tempi si sono accelerati. Ma ormai il danno era quasi del tutto fatto: oltre tre anni per chiudere le indagini preliminari, cinque anni tra richiesta di processo e sentenza di primo grado. Un ritmo che la complessità della vicenda, la fatica di dare spiegazioni tecniche all'inferno di quella notte di inizio estate, spiega solo in parte.

Il colpo di grazia è la eliminazione dell'aggravante di violazione delle leggi sul lavoro, che accorcia la prescrizione. Ma non c'è solo l'estinzione del reato di omicidio colposo plurimo nella decisione assunta ieri dalla Quarta sezione, presieduta da Maurizio Fumo. La Cassazione smonta pezzi importanti dell'inchiesta: cancella tutto il capitolo sulla responsabilità giuridica delle aziende coinvolte, da Fs alle ditte austriache che avevano organizzato il trasporto: per loro l'assoluzione è definitiva. Viene escluso il risarcimento alle associazioni che si erano costituite parti civili. E si apre una partita dall'esito incerto sulla sorte del più alto in grado degli imputati, l'ex amministratore delegato delle Ferrovie, Marco Moretti, e insieme a lui dell'amministratore di Reti ferroviarie italiane, Michele D'Elia. La condanna di Moretti era stata fin dall'inizio del processo chiesta con forza dai familiari delle vittime per sancire responsabilità che non si fermavano agli uomini direttamente coinvolti ma risalivano fino al vertice della catena di comando. Per la Procura di Lucca, Moretti e D'Elia erano anzi i principali colpevoli, e per loro sia in primo grado che in appello erano state chieste le condanne più severe. I giudici avevano dimezzato la pena: sette anni a Moretti, sette e mezzo a D'Elia.

Ora anche per i due top manager si terrà un nuovo processo. Ma mentre per gli altri imputati servirà soprattutto a rivedere la pena al ribasso, essendo estinta l'accusa di omicidio, per Moretti e D'Elia le chance di uscire incolumi sono più alte: e infatti ieri Franco Coppi, difensore di Moretti, parla di svolta «radicale», «la Cassazione ha messo molte cose a posto». Ad aprire uno spiraglio per i due era stata la stessa Procura generale della Cassazione, che nella sua requisitoria aveva chiesto anch'essa l'annullamento e un nuovo processo per i soli Moretti e D'Elia. La richiesta aveva sollevato le proteste dei familiari dei morti, tanto che a chiarirne il senso era dovuto intervenire il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, spiegando che la richiesta era strettamente collegata alla posizione di due dirigenti inferiori delle Ferrovie che invece erano stati assolti, per cui invece veniva chiesta la condanna.

In sostanza, si spostava il tiro dell'accusa, soprattutto tenendo conto del «nel lungo periodo di tempo trascorso tra il momento della cessazione dell'imputato Moretti dalle cariche sociali in Rete Ferroviaria Italiana, con il subentro di altri responsabili, e il momento nel quale il disastro si e' verificato». Ieri i due dipendenti inferiori, Costa e Di Marco, sono stati assolti definitivamente. Ma l'argomento del lungo tempo passato fuori da Rfi potrebbe portare comunque Moretti a salvarsi.

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